C.C. Bologna – disposizione “RUO settore penale” e contrapposizioni interne

Egregio Provveditore,
in virtù dello spirito collaborativo, da più parti e in più occasioni richiesto ed “implorato”, per il raggiungimento dell’unico obiettivo di lavorare assieme, coinvolgendo tutte le aree, in particolar modo quella trattamentale questa O.S. ha da muovere delle considerazioni. Il progetto rieducativo per ogni singolo detenuto è pregno di sfumature che interessano sia la sfera emotiva che quella giuridica. Il trattamento penitenziario, considerandolo nella sua più vasta accezione, comprende quel complesso di norme e di attività che regolano ed assistono la privazione della libertà per l’esecuzione di una sanzione penale; regole contenute nella Legge n. 354/1975 e nel Regolamento di esecuzione n. 230/2000. I principi portanti del trattamento penitenziario sono frutto di una vasta elaborazione dottrinale e scientifica tendente ad unificare l’acquisizione della scienza criminologica, l’evoluzione del pensiero filosofico e le statuizioni della nostra Carta Costituzionale. Lo Stato, l’amministrazione penitenziaria, deve impegnarsi nell’offrire delle chances a chiunque si trovi in carcere. Se un ristretto è seguito, se riceve risposte concrete si sentirà considerato e non creerà, a parte quegli elementi di difficle gestione, grossi problemi legati al suo stato di detenzione. Non si vedrà chiuso in quattro mura ma, seppur a piccolo passi, si vedrà proiettato in un futuro di riscatto e magari di ravvedimento. Ebbene, chi scrive crede che impegnarsi al meglio in quello che poi istituzionalmente è previsto in capo ad ogni operatore non possa che giovare e tornare utile a tutti. Fatto questo preambolo, questa O.S. chiede alla S.V. di voler verificare ciò che da più parti è stato riferito. Parrebbe che il RUO del settore Penale dell’istituto bolognese, che tra ha mostrato delle ingiustificate ire nei confronti del vice regionale della sigla che scrive (il tutto è stato relazionato e portato a conoscenza anche della Direzione), abbia dato un ordine, non firmato, dunque in forma orale che viene riportato da oltre un mese nel registro delle consegne in base al quale si inibisce il contatto con l’area educativa/trattamentale per chiedere notizie o informazioni a cui i detenuti hanno diritto. Davvero non se ne comprende la motivazione. Se un detenuto riceve le giuste informazioni, se necessità di confrontarsi con l’area trattamentale probabilmente sarà più rispettoso delle regole di vita penitenziaria e non reagirà ad un diniego ingiustificato. La posizione assunta dal RUO nei confronti dell’area trattamentale e nei confronti del vice regionale del Si.N.A.P.Pe in forza alla Dozza non fa che acuire delle contrapposizioni interne che non possono essere risolte facendo valere un grado. Spiace dirlo ma simili atteggiamenti nell’ottica di una partecipazione attiva di tutte le aree e tra tutti gli operatori, al di là del grado gerarchico, hanno nulla di deontologico e vanificano ogni sforzo volto al miglioramento del sistema carcere. Alla luce di ciò e in base a quanto dalla S.V. asserito nelle risultanze delle riunioni tenutesi nel mese di luglio u.s. in cui si sottolinea che il Suo “lavoro non si esaurisce nel fungere da trait d’union ma contempli un impegno di supervisione volto a garantire che le dichiarazioni d’intento si concretizzino” si auspice un intervento in merito ad entrambe le questioni di cui all’oggetto.
Con queste premesse è alquanto difficile che il suo lavoro possa essere già solo avviato, figuriamoci attuato, seppur parzialmente. In un clima lavorativo così teso in cui obbedire ad un ordine superiore discutibile ed ingiustificato equivale a creare delle tensioni tra detenuti e polizia penitenziaria che potrebbero sfociare in aggressioni che vanno, ove possible, evitate.
Si confida in un Suo intervento tempestivo e risolutivo.

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