
Egregio Direttore, alla luce dell’ultimo e gravissimo episodio violento accaduto al primo piano giudiziario A, a seguito del quale un collega ha riportato una prognosi di 35 giorni, questa O.S. ritiene di dover effettuare, assieme ai destinatari della presente, un’analisi coscienziosa e consapevole volta ad un miglioramento dell’attuale situazione per una, quanto più ottimale possibile, gestione del reparto interessato. Chi subisce una condanna deve pagare un debito con la società e il carcere svolge il doppio ruolo di punizione ed opportunità. Per il quantum della punizione c’è la Magistratura, per il modus della stessa ci siamo NOI, tutti gli operatori dell’Amministrazione Penitenziaria che dobbiamo adoperarci a che le opportunità siano create per ognuno, plasmate sulla personalità del singolo ed offerte. Non è un lavoro facile anzi richiede impegno, empatia, energie talvolta davvero sopra ogni limite umano per cui il tutto risulta essere sfiancante e a tratti impossibile. Eppure ci proviamo, ognuno per la propria competenza, e fino alla fine dell’ultimo giorno di punizione DOBBIAMO “essere presenti” in primis a noi stessi, comprendendo che siamo chiamati a rispondere al bisogno del detenuto, e in secondo luogo alla società stessa che dovrà riaccogliere l’ex detenuto. Il nostro delicato compito è finalizzato ad accorciare la distanza tra principi costituzionali e realtà detentiva e per farlo occorre porre la massima attenzione a tanti particolari ed esigenze del singolo. Ecco perché è importante evitare che in uno stesso reparto ci siano tanti, troppi ristretti che presentano problematiche simili sia di dipendenza che di disagio psicologico a meno che quel reparto, così organizzato, non sia presidiato da un congruo numero di agenti, in tutte le ore, e da specialisti del settore pronti a contenere eventuali crisi. Si deve evitare che reparti simili possano, anche solo lontanamente, essere paragonati a ghetti sociali in cui buttare i più disperati. Una progettualità di recupero è il punto di partenza e va assolutamente realizzata con la collaborazione di poliziotti, istituzioni di corsi e laboratori, volontari ed associazioni varie. Prestare attenzione a chi soffre di dipendenze, dall’alcol all’abuso di sostanze psicotrope passando anche per l’uso improprio di medicinali è di fondamentale importanza se si vuole evitare il proliferare di condotte delinquenziali anche dentro il carcere. E’ indispensabile attuare una politica finalizzata a risolvere una serie di effetti collaterali a breve termine onde evitare la creazione di un sottobosco culturale per condotte delittuose di più vasta portata a lungo termine. E’ per questo motivo che nell’istituto bolognese si può e deve fare tanto. Il primo piano giudiziario, ad oggi, è una sorta di sala d’attesa, di parcheggio per i tanti soggetti che presentano dipendenze, che sono dediti alla produzione di distillati alcolici il cui uso porta a degli scompensi comportamentali che si riversano sul personale che paga, in termini di aggressione il prezzo più alto. Si badi bene: non si vuole criticare singole prese di posizione sull’attuamento di una o più politiche di gestione, bensì mostrare una panoramica generale su quelle che sono le conseguenze di una serie d’interventi, non sempre condivisi da questa O.S. e cercare, in un quadro sinergico, di migliorarle. A parlare non sono soltanto il crescente disagio del corpo di Polizia Penitenziaria, che nonostante tutto continua a dimostrare grande professionalità, ma l’insorgere di situazioni rischio (e gli ultimi fatti, purtroppo, lo hanno ampiamente dimostrato). I sempre più frequenti episodi di pestaggi tra detenuti (per non voler parlare di principi di risse) e aggressioni al personale di servizio, uniti al ripetuto ritrovamento di alcolici che ha smascherato il già citato sospetto di trame delinquenziali consolidate in alcuni bracci detentivi, in particolare nel reparto giudiziario, sono prove indiziarie che devono far suonare il campanello d’allarme. Un organo efficiente non è quello in grado di risolvere qualsiasi problema, ma quello che ha la prontezza e la competenza di prevenirli. Per chiudere il cerchio si ricorda che, nonostante i continui solleciti, resta di fondamentale importanza la questione della carenza di organico dei funzionari della professionalità giuridico-pedagogica. Questa lacuna è stata probabilmente sottovalutata in precedenza, ma diventa un elemento dominante nel contesto appena descritto in quanto amplificatore di problematiche quotidiane. Perché se l’instabilità causata da tossicodipendenze, disagi psichiatrici e vicende personali può essere marginalmente arginata in un luogo precario come quello detentivo dall’importante complesso di attività di sostegno intra moenia ma anche extra-murario svolto in questa Casa circondariale, la carenza di queste figure educative comporta una sostanziale amplificazione di tutte le problematiche non risolte, incentivando situazioni limite che in altri contesti potrebbero essere invece prevenute e spente. Non si tratta più di un capriccio, ma dell’esigenza di considerare come determinate condotte sono l’inevitabile effetto a catena di disfunzioni operative e logistiche. Problematiche queste già sollevate dalla scrivente segreteria SiNAPPe, che non hanno trovato soluzione. Si confida nel corso di formazione in itinere di queste figure, sperando che ne vengano assegnati alla Dozza in numero sufficiente.