Non ha gradito le parole del Presidente della Camera Penale di Bologna, il Si.N.A.P.Pe che, dopo il servizio andato in onda al TGR Emilia Romagna nella giornata del 10 marzo, così stigmatizza quanto affermato dall’avvocato Roberto D’Errico in merito al “necessità di far luce” sulla morte di un detenuto avvenuta nel corso della rivolta che lo scorso anno ha interessato la Casa Circondariale di Bologna; ciò nonostante vi sia stata la richiesta di archiviazione da parte del PM che non ritiene emergente la responsabilità di altre persone.
Sono parole pronunciate senza avere la percezione della realtà penitenziaria; le classiche osservazioni di osservatori esterni che pensano di “conoscere” dall’alto delle proprie cariche istituzionali. Il penitenziario della Dozza è stato devastato! E questa è un dato di fatto.
Ipotizzare “perquisizioni tardive” come concausa del decesso del detenuto (avvenuto per overdose creata da un mix mortale di psicofarmaci con cui era in cura e metadone sottratto dalla locale infermeria) è una congettura che può esser fatta solo da chi non sa cos’è una perquisizione e non ha idea del disastro che i rivoltosi hanno ingenerato all’interno del penitenziario del capoluogo emiliano.
Ancor più offensivo è far passare il messaggio di una inerzia dell’Amministrazione – anch’essa concausa dell’evento nefasto – nel non aver messo in sicurezza i farmaci dopo le avvisaglie di devastazione negli altri penitenziari. Ebbene, chi a Bologna c’era sa perfettamente che la messa in sicurezza dei farmaci è avvenuta, ma evidentemente sfugge ai commentatori esterni (che arrivano ad ipotizzare facilità nell’approvvigionamento) che durante la rivolta sono state divelte porte blindate poste a presidio dei farmaci. Fare quelle affermazioni vuol dire non avere contezza delle circostanze in cui si è verificato il saccheggio a base dell’evento morte.
E non serve celarsi dietro sommi proclami per i quali far luce sulla vicenda serve a diradare le ombre che troppo spesso cadono sul personale penitenziario se poi son proprio ombre quelle che si tendano di gettare con affermazioni di questo tenore.
Su una sola cosa ci trova d’accordo il Presidente D’errico: la vittima era un soggetto che aveva problemi di dipendenza e problemi psichici che abbisognava di un luogo diverso di custodia! Purtroppo il parlare è cosa facile ma nessuno soccorre alla nostra ferma affermazione che il carcere non può continuare ad essere il collettore di ogni forma di disagio sociale senza snaturarne la funzione.
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C.C. Bologna – un anno dopo le rivolte – Inaccettabile che si punti il dito contro la Polizia Penitenziaria
Non ha gradito le parole del Presidente della Camera Penale di Bologna, il Si.N.A.P.Pe che, dopo il servizio andato in onda al TGR Emilia Romagna nella giornata del 10 marzo, così stigmatizza quanto affermato dall’avvocato Roberto D’Errico in merito al “necessità di far luce” sulla morte di un detenuto avvenuta nel corso della rivolta che lo scorso anno ha interessato la Casa Circondariale di Bologna; ciò nonostante vi sia stata la richiesta di archiviazione da parte del PM che non ritiene emergente la responsabilità di altre persone.
Sono parole pronunciate senza avere la percezione della realtà penitenziaria; le classiche osservazioni di osservatori esterni che pensano di “conoscere” dall’alto delle proprie cariche istituzionali.
Il penitenziario della Dozza è stato devastato! E questa è un dato di fatto.
Ipotizzare “perquisizioni tardive” come concausa del decesso del detenuto (avvenuto per overdose creata da un mix mortale di psicofarmaci con cui era in cura e metadone sottratto dalla locale infermeria) è una congettura che può esser fatta solo da chi non sa cos’è una perquisizione e non ha idea del disastro che i rivoltosi hanno ingenerato all’interno del penitenziario del capoluogo emiliano.
Ancor più offensivo è far passare il messaggio di una inerzia dell’Amministrazione – anch’essa concausa dell’evento nefasto – nel non aver messo in sicurezza i farmaci dopo le avvisaglie di devastazione negli altri penitenziari. Ebbene, chi a Bologna c’era sa perfettamente che la messa in sicurezza dei farmaci è avvenuta, ma evidentemente sfugge ai commentatori esterni (che arrivano ad ipotizzare facilità nell’approvvigionamento) che durante la rivolta sono state divelte porte blindate poste a presidio dei farmaci. Fare quelle affermazioni vuol dire non avere contezza delle circostanze in cui si è verificato il saccheggio a base dell’evento morte.
E non serve celarsi dietro sommi proclami per i quali far luce sulla vicenda serve a diradare le ombre che troppo spesso cadono sul personale penitenziario se poi son proprio ombre quelle che si tendano di gettare con affermazioni di questo tenore.
Su una sola cosa ci trova d’accordo il Presidente D’errico: la vittima era un soggetto che aveva problemi di dipendenza e problemi psichici che abbisognava di un luogo diverso di custodia! Purtroppo il parlare è cosa facile ma nessuno soccorre alla nostra ferma affermazione che il carcere non può continuare ad essere il collettore di ogni forma di disagio sociale senza snaturarne la funzione.
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