È di poche ore fa la notizia che la Procura di Siena sta indagando 15, di cui 4 sospesi dal servizio, appartenenti alla Polizia Penitenziaria per reati di abusi e tortura nei confronti di un detenuto. Anche in questo caso non si è voluto attendere un giudizio definitivo, neanche una sentenza di primo grado, prima di condannare mediaticamente 15 appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria in forza al Reparto della Casa di Reclusione di San Gimignano.
Pertanto, corre l’obbligo di denunciare, non sottacendo, che l’attuale società mediatica tende ad assumere e vendere la notizia come vera, se non immediatamente contestata. La verità di un giornale o di un qualsiasi mezzo di informazione si sovrappone, alla verità giudiziaria da accertare e si fissa nella memoria collettiva. Lo scarto tra processo mediatico e penale sta creando fratture gravi tra le varie Amministrazioni dello Stato.
Troppe volte abbiamo assistito e dovuto prendere atto che la volontà di ’aprire un dialogo con la stampa e la cosiddetta “gente” può nascondere molteplici retroscena, mentre il dialogo dovrebbe rimanere tra i protagonisti del processo, così evitando di allargare sempre di più un nucleo opaco su questioni delicate, come sicuramente è quella di San Gimignano.
Spesso l’informazione sembra perdere il rispetto verso il diritto alla presunzione di non colpevolezza, non sempre nelle trasmissioni televisive viene curato la parte in cui dovrebbero risultare chiare le differenze fra documentazione e rappresentazione, fra cronaca e commento, fra indagato, imputato e condannato, fra pubblico ministero e giudice, fra accusa e difesa, fra carattere non definitivo e definitivo dei provvedimenti e delle decisioni nell’evoluzione delle fasi e dei gradi dei procedimenti e dei giudizi. Sembra, ormai, che ci siamo dimenticati che non è il popolo il nostro vero giudice.
Non è lui che decide, prima dei giurati, prima del presidente del Tribunale. In alcuni casi sembra quasi che sia il popolo a dover scrivere l’accusa. Spaventa un sistema che sembra essere reso secco come un osso dall’abitudine a giudicare, come spaventerebbe una magistratura che ha bisogno del buon giudizio popolare.
Questa Organizzazione Sindacale si schiera con tutte le proprie forze dalla parte degli accertatori di verità e non con la notizia che spesso ha prodotto danni che non sono mai stati rimarginati dalle successive assoluzioni.
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CASA RECLUSIONE DI SAN GIMIGNANO – LA NOTIZIA CHE TI CONDANNA PRIMA DI UN PROCESSO…
È di poche ore fa la notizia che la Procura di Siena sta indagando 15, di cui 4 sospesi dal servizio, appartenenti alla Polizia Penitenziaria per reati di abusi e tortura nei confronti di un detenuto. Anche in questo caso non si è voluto attendere un giudizio definitivo, neanche una sentenza di primo grado, prima di condannare mediaticamente 15 appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria in forza al Reparto della Casa di Reclusione di San Gimignano.
Pertanto, corre l’obbligo di denunciare, non sottacendo, che l’attuale società mediatica tende ad assumere e vendere la notizia come vera, se non immediatamente contestata. La verità di un giornale o di un qualsiasi mezzo di informazione si sovrappone, alla verità giudiziaria da accertare e si fissa nella memoria collettiva. Lo scarto tra processo mediatico e penale sta creando fratture gravi tra le varie Amministrazioni dello Stato.
Troppe volte abbiamo assistito e dovuto prendere atto che la volontà di ’aprire un dialogo con la stampa e la cosiddetta “gente” può nascondere molteplici retroscena, mentre il dialogo dovrebbe rimanere tra i protagonisti del processo, così evitando di allargare sempre di più un nucleo opaco su questioni delicate, come sicuramente è quella di San Gimignano.
Spesso l’informazione sembra perdere il rispetto verso il diritto alla presunzione di non colpevolezza, non sempre nelle trasmissioni televisive viene curato la parte in cui dovrebbero risultare chiare le differenze fra documentazione e rappresentazione, fra cronaca e commento, fra indagato, imputato e condannato, fra pubblico ministero e giudice, fra accusa e difesa, fra carattere non definitivo e definitivo dei provvedimenti e delle decisioni nell’evoluzione delle fasi e dei gradi dei procedimenti e dei giudizi. Sembra, ormai, che ci siamo dimenticati che non è il popolo il nostro vero giudice.
Non è lui che decide, prima dei giurati, prima del presidente del Tribunale. In alcuni casi sembra quasi che sia il popolo a dover scrivere l’accusa. Spaventa un sistema che sembra essere reso secco come un osso dall’abitudine a giudicare, come spaventerebbe una magistratura che ha bisogno del buon giudizio popolare.
Questa Organizzazione Sindacale si schiera con tutte le proprie forze dalla parte degli accertatori di verità e non con la notizia che spesso ha prodotto danni che non sono mai stati rimarginati dalle successive assoluzioni.
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