9 minuti, come lo scorso anno: il Guardasigilli Carlo NORDIO con un compassato aplomb ha continuato a raccontare la Storia di una parte del Corpo. Sia il ministro che il Capo del DAP Giovanni Russo hanno voluto citare le eccellenze specialistiche (gli uomini e le donne in basco amaranto, l’intellighenzia investigativa del Nucleo, la sagacia scientifica del Laboratorio centrale banca dati D.N.A), conferire la bandiera di Reparto all’U.S.Pe.V. continuando, però, a dimenticare la caratura professionale e deontologica delle donne e degli uomini impiegati ogni giorno, in ogni singolo turno, in ogni singola sezione detentiva: a noi continua a sembrare una scortesia, un segnale di scarsa attenzione. La narrazione della Polizia penitenziaria come (anche) una Polizia di sicurezza sembra piuttosto un refrain, un ritornello, una filastrocca soporifera. Due discorsi, quindi, con pochi sussulti, con Nordio che solo in coda al suo breve intervento ricorda il peso specifico fondamentale del personale che lavora nelle carceri quando salva vite umane impedendo “che la sofferenza della pena possa sfociare in gesti di particolare dolore: si parla molto dei suicidi in carcere ma si parla poco di quelli che Voi avete evitato con la Vostra sensibilità, lungimiranza ed intelligenza”. Giustappunto, perché non parlarne in diretta televisiva magari citando anche i dati raccolti dalla Sala situazioni del DAP? E delle costanti aggressioni subite dal personale del Corpo? Per Russo, invece, il picco di pathos emotivo è dedicato ai caduti, ai martiri in nome della giustizia giusta, un doveroso omaggio ai caduti nell’assolvimento del dovere. La via della valorizzazione professionale appare ancora ardua d’altronde “ognuno vale quanto le cose a cui da importanza”.
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CERIMONIA DEL 207° ANNUALE – E’ così difficile parlare di quelli che lavorano in carcere?
9 minuti, come lo scorso anno: il Guardasigilli Carlo NORDIO con un compassato aplomb ha continuato a raccontare la Storia di una parte del Corpo.
Sia il ministro che il Capo del DAP Giovanni Russo hanno voluto citare le eccellenze specialistiche (gli uomini e le donne in basco amaranto, l’intellighenzia investigativa del Nucleo, la sagacia scientifica del Laboratorio centrale banca dati D.N.A), conferire la bandiera di Reparto all’U.S.Pe.V. continuando, però, a dimenticare la caratura professionale e deontologica delle donne e degli uomini impiegati ogni giorno, in ogni singolo turno, in ogni singola sezione detentiva: a noi continua a sembrare una scortesia, un segnale di scarsa attenzione.
La narrazione della Polizia penitenziaria come (anche) una Polizia di sicurezza sembra piuttosto un refrain, un ritornello, una filastrocca soporifera.
Due discorsi, quindi, con pochi sussulti, con Nordio che solo in coda al suo breve intervento ricorda il peso specifico fondamentale del personale che lavora nelle carceri quando salva vite umane impedendo “che la sofferenza della pena possa sfociare in gesti di particolare dolore: si parla molto dei suicidi in carcere ma si parla poco di quelli che Voi avete evitato con la Vostra sensibilità, lungimiranza ed intelligenza”.
Giustappunto, perché non parlarne in diretta televisiva magari citando anche i dati raccolti dalla Sala situazioni del DAP?
E delle costanti aggressioni subite dal personale del Corpo?
Per Russo, invece, il picco di pathos emotivo è dedicato ai caduti, ai martiri in nome della giustizia giusta, un doveroso omaggio ai caduti nell’assolvimento del dovere.
La via della valorizzazione professionale appare ancora ardua d’altronde “ognuno vale quanto le cose a cui da importanza”.
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