Viviamo giorni confusi, sull’emergenza carceraria, dal Presidente della Repubblica al Papa, dai Garanti dei diritti dei detenuti alle organizzazioni sindacali della Polizia penitenziaria, dall’Unione Camere Penali all’associazionismo di parte, tutti abbiamo chiesto qualcosa. Sul tema delle carceri il governo ha compiuto errori, soprattutto all’inizio. Ma vediamo giorno per giorno, dal recente question time ai continui lanci di agenzia, come sia piuttosto evidente lo squilibrio tra le diverse anime che compongono la maggioranza nonostante il relativo accumulo di potere che si raccoglie nelle mani del governo stesso. Aggrappandosi al “virus”, sono in molti a chiedere di “agire con immediatezza andando oltre la normativa esistente e oltre l’applicazione massiva di braccialetti elettronici”. Mentre il potere attacca il virus, il virus ha già intaccato il potere, esasperando la situazione: con una strana veicolazione del messaggio, per mettere pressione alla politica incerta, oggi i detenuti protesteranno al grido “Tutti Salvi! Tutti a casa! Amnistia – Indulto”. Cosa il Si.N.A.P.Pe imputa al governo e, significativamente, al ministro Bonafede? Il silenzio, la scarsa rapidità nelle decisioni, l’intempestività, la scarsa flessibilità al dialogo con le organizzazioni sindacali del Corpo di Polizia penitenziaria nonostante i rispettivi arroccamenti, la poca chiarezza nella catena di comando (non basta certo quel video di 4 minuti oramai remoto ed una vittima sacrificale) e l’assenza di informazioni ufficiali sulla reale diffusione del contagio oltreché tra i detenuti anche, e soprattutto, tra le fila della Polizia penitenziaria. E mentre Bonafede resta asserragliato nel fortino di Via Arenula c’è poi l’altra politica, quella più virtuosa, quella trasversale, che impallina il guardasigilli con l’idea di una detenzione domiciliare a tempo, legata alla durata dell’emergenza, concedibile ai soli detenuti che abbiano dato prova evidente di buona condotta e che abbiano da scontare una pena residua uguale e inferiore a 36 mesi. Il fuoco amico falcidia l’inquilino di Via Arenula già alle prese con gli “estremisti” di Italia Viva e di Liberi e Uguali che ogni giorno gli ricordano il cambio di conduzione al DAP e, se del caso, la nomina di un Vice Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (magari un altro magistrato dal profilo noto e gradito ad una certa parte della sinistra di governo). L’art.123 del recente DPCM? Un simulacro della legge 199 del 2000 che non ha superato che legittime perplessità della magistratura di sorveglianza che non ha adottato i provvedimenti che dispongono l’esecuzione della pena presso il domicilio per diverse ragioni ostative (nel Lazio, ad esempio, su 600 richieste solo poco più di 50 concessioni!)
Proprio perché la previsione ha attribuito un’ampia discrezionalità alla magistratura era piuttosto facile immaginare la scarsa portata del ravvedimento. E la storia dei braccialetti elettronici? Anche questa è una disposizione di difficile attuazione (ora si parla di 5000 dispositivi per il controllo delle persone detenute con una pena residua tra i 6 ed i 18 mesi) il cui termine di concretizzazione è certamente ordinatorio visto che il provvedimento interdipartimentale firmato dal DAP e dal DPS prevede l’istallazione di 300 apparecchi a settimana! Sul tema i Garanti dei detenuti, di ogni ordine e grado, hanno promosso un appello al governo ed ai parlamentari affinché nell’esame del decreto legge contenente le norme finalizzate alla riduzione della popolazione detenuta vengano adottate misure più incisive in grado di “portare nel giro di pochi giorni la popolazione detenuta sotto la soglia della capienza regolamentare effettivamente disponibile” (ndr oggi è di 51.416 mentre i detenuti presenti sono 57.590). Ognuno, legittimamente, prova a fare la sua parte ma le dichiarazioni in controtendenza, alcune marcatamente securitarie altre, per un logico contrappeso, manifestamente aperturiste stanno alimentando un clima di tensione che la Polizia penitenziaria, all’interno delle carceri coglie e vive tutto! Serve equilibrio, un reale senso della misura, perché a partire dal tam tam odierno, dai flash mob per niente spontanei, il rischio è la recrudescenza dei fenomeni eversivi! Non serve confondere, non serve mistificare, il governo faccia nettamente capire ad ognuno di noi il reale margine di manovra; trovi la compattezza necessaria perché, in questo periodo di emergenza, all’interno delle carceri l’alternanza delle parole è raziocinio senz’anima! Ci sarà un “dopo”, passata l’emergenza, in cui potremo affrontare il dimensionamento del carcere, la funzione rieducativa, il generale sistema della pena. Ora non abbiamo bisogno di pregiudizi, di convenienze, di coloro che continuano ad avvelenare i pozzi. Oggi, per l’universo carcere, per tacitare gli istinti e non alimentare fatue speranze, serve un uso parco delle parole. Proviamoci. Tutti!
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CHI ALIMENTA IL CAOS? SI RISCHIANO ALTRE RIVOLTE IN CARCERE? IL SENSO DELLE PAROLE!
Viviamo giorni confusi, sull’emergenza carceraria, dal Presidente della Repubblica al Papa, dai Garanti dei diritti dei detenuti alle organizzazioni sindacali della Polizia penitenziaria, dall’Unione Camere Penali all’associazionismo di parte, tutti abbiamo chiesto qualcosa.
Sul tema delle carceri il governo ha compiuto errori, soprattutto all’inizio. Ma vediamo giorno per giorno, dal recente question time ai continui lanci di agenzia, come sia piuttosto evidente lo squilibrio tra le diverse anime che compongono la maggioranza nonostante il relativo accumulo di potere che si raccoglie nelle mani del governo stesso.
Aggrappandosi al “virus”, sono in molti a chiedere di “agire con immediatezza andando oltre la normativa esistente e oltre l’applicazione massiva di braccialetti elettronici”.
Mentre il potere attacca il virus, il virus ha già intaccato il potere, esasperando la situazione: con una strana veicolazione del messaggio, per mettere pressione alla politica incerta, oggi i detenuti protesteranno al grido “Tutti Salvi! Tutti a casa! Amnistia – Indulto”.
Cosa il Si.N.A.P.Pe imputa al governo e, significativamente, al ministro Bonafede?
Il silenzio, la scarsa rapidità nelle decisioni, l’intempestività, la scarsa flessibilità al dialogo con le organizzazioni sindacali del Corpo di Polizia penitenziaria nonostante i rispettivi arroccamenti, la poca chiarezza nella catena di comando (non basta certo quel video di 4 minuti oramai remoto ed una vittima sacrificale) e l’assenza di informazioni ufficiali sulla reale diffusione del contagio oltreché tra i detenuti anche, e soprattutto, tra le fila della Polizia penitenziaria.
E mentre Bonafede resta asserragliato nel fortino di Via Arenula c’è poi l’altra politica, quella più virtuosa, quella trasversale, che impallina il guardasigilli con l’idea di una detenzione domiciliare a tempo, legata alla durata dell’emergenza, concedibile ai soli detenuti che abbiano dato prova evidente di buona condotta e che abbiano da scontare una pena residua uguale e inferiore a 36 mesi.
Il fuoco amico falcidia l’inquilino di Via Arenula già alle prese con gli “estremisti” di Italia Viva e di Liberi e Uguali che ogni giorno gli ricordano il cambio di conduzione al DAP e, se del caso, la nomina di un Vice Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (magari un altro magistrato dal profilo noto e gradito ad una certa parte della sinistra di governo).
L’art.123 del recente DPCM?
Un simulacro della legge 199 del 2000 che non ha superato che legittime perplessità della magistratura di sorveglianza che non ha adottato i provvedimenti che dispongono l’esecuzione della pena presso il domicilio per diverse ragioni ostative (nel Lazio, ad esempio, su 600 richieste solo poco più di 50 concessioni!)
Proprio perché la previsione ha attribuito un’ampia discrezionalità alla magistratura era piuttosto facile immaginare la scarsa portata del ravvedimento.
E la storia dei braccialetti elettronici?
Anche questa è una disposizione di difficile attuazione (ora si parla di 5000 dispositivi per il controllo delle persone detenute con una pena residua tra i 6 ed i 18 mesi) il cui termine di concretizzazione è certamente ordinatorio visto che il provvedimento interdipartimentale firmato dal DAP e dal DPS prevede l’istallazione di 300 apparecchi a settimana!
Sul tema i Garanti dei detenuti, di ogni ordine e grado, hanno promosso un appello al governo ed ai parlamentari affinché nell’esame del decreto legge contenente le norme finalizzate alla riduzione della popolazione detenuta vengano adottate misure più incisive in grado di “portare nel giro di pochi giorni la popolazione detenuta sotto la soglia della capienza
regolamentare effettivamente disponibile” (ndr oggi è di 51.416 mentre i detenuti presenti sono 57.590).
Ognuno, legittimamente, prova a fare la sua parte ma le dichiarazioni in controtendenza, alcune marcatamente securitarie altre, per un logico contrappeso, manifestamente aperturiste stanno alimentando un clima di tensione che la Polizia penitenziaria, all’interno delle carceri coglie e vive tutto!
Serve equilibrio, un reale senso della misura, perché a partire dal tam tam odierno, dai flash mob per niente spontanei, il rischio è la recrudescenza dei fenomeni eversivi!
Non serve confondere, non serve mistificare, il governo faccia nettamente capire ad ognuno di noi il reale margine di manovra; trovi la compattezza necessaria perché, in questo periodo di emergenza, all’interno delle carceri l’alternanza delle parole è raziocinio senz’anima!
Ci sarà un “dopo”, passata l’emergenza, in cui potremo affrontare il dimensionamento del carcere, la funzione rieducativa, il generale sistema della pena.
Ora non abbiamo bisogno di pregiudizi, di convenienze, di coloro che continuano ad avvelenare i pozzi.
Oggi, per l’universo carcere, per tacitare gli istinti e non alimentare fatue speranze, serve un uso parco delle parole.
Proviamoci. Tutti!
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