Ha trovato l’epilogo nella sparatoria della notte in provincia di Milano la storia di Anis AMRI, sospettato di essere il colpevole dell’attentato che qualche sera fa ha scosso Berlino. Era giunto in Italia, armato e pericolo (narrano le cronache); ad un fermo per un controllo di polizia ha aperto il fuoco contro gli uomini della polizia di stato, ferendone uno in maniera lieve. L’altro poliziotto ha risposto al fuoco, uccidendo il terrorista. Ma questa non era la prima volta che AMRI transitava nel territorio italiano, dove giunto con lo status di profugo, è stato detenuto per circa 4 anni, trasferito di volta in volta per vari istituti penitenziari della Sicilia. I motivi dei diversi trasferimenti accomunati tutti da esigenze di ordine e sicurezza: continui atti di disordine, aggressioni tanto ai detenuti quanto al personale. Un soggetto “difficile” – dunque – che per tutta la sua permanenza in carcere è stato costantemente “monitorato” per seguirne eventuali processi di radicalizzazione. In un sistema penitenziario difficile e per molti versi carente, emerge con tutta la propria lucentezza la competenza di tutte le figure professionali che sono state a contatto con AMRI, che hanno saputo cogliere nei suoi comportamenti irruenti non solo problematiche comportamentali di riottosità al sistema, ma un profilo diverso e ben più profondo. È il caso di dire che l’intera macchina penitenziaria ha funzionato a pieno. L’attività di intelligence condotta negli ambienti penitenziari ha dato prova di efficienza, efficacia e restituisce al mondo l’immagine di una Italia più sicura. Questo non vuol dire che il nostro Paese sia un territorio a “rischio zero” ma se è vero – come si va da ultimo affermando – che i processi di radicalizzazione trovano terreno fertile durante le esperienze di detenzione, possiamo affermare che l’osservazione penitenziaria ha dimostrato di consentire segnalazioni importanti cui altre competenze e altre forze dovranno dare il giusto seguito. La triste storia di Berlino e la familiarità di Anis AMRI con il nostro
Paese farebbe ancor più paura (per l’imprevedibilità delle azioni terroristiche)
se dal fascicolo dell’esperienza detentiva non emergessero – secondo le
dichiarazioni affidate alla stampa – profili così netti di un ottimo sistema di
osservazione.
Partendo da ciò è il caso di affermare che ogni investimento fatto sul
Corpo di Polizia Penitenziaria, dall’integrazione organica all’attività di
formazione e aggiornamento, è un investimento sulla SICUREZZA delle nostre
strade.
L’auspicio è che a tale riflessione si giunga in maniera unanime.
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COMUNICATO – Anis Amri, il presunto attentatore di Berlino – Uomo noto al sistema penitenziario italiano
Ha trovato l’epilogo nella sparatoria della notte in provincia di Milano la storia di Anis AMRI, sospettato di essere il colpevole dell’attentato che qualche sera fa ha scosso Berlino. Era giunto in Italia, armato e pericolo (narrano le cronache); ad un fermo per un controllo di polizia ha aperto il fuoco contro gli uomini della polizia di stato, ferendone uno in maniera lieve. L’altro poliziotto ha risposto al fuoco, uccidendo il terrorista. Ma questa non era la prima volta che AMRI transitava nel territorio italiano, dove giunto con lo status di profugo, è stato detenuto per circa 4 anni, trasferito di volta in volta per vari istituti penitenziari della Sicilia. I motivi dei diversi trasferimenti accomunati tutti da esigenze di ordine e sicurezza: continui atti di disordine, aggressioni tanto ai detenuti quanto al personale. Un soggetto “difficile” – dunque – che per tutta la sua permanenza in carcere è stato costantemente “monitorato” per seguirne eventuali processi di radicalizzazione. In un sistema penitenziario difficile e per molti versi carente, emerge con tutta la propria lucentezza la competenza di tutte le figure professionali che sono state a contatto con AMRI, che hanno saputo cogliere nei suoi comportamenti irruenti non solo problematiche comportamentali di riottosità al sistema, ma un profilo diverso e ben più profondo. È il caso di dire che l’intera macchina penitenziaria ha funzionato a pieno. L’attività di intelligence condotta negli ambienti penitenziari ha dato prova di efficienza, efficacia e restituisce al mondo l’immagine di una Italia più sicura. Questo non vuol dire che il nostro Paese sia un territorio a “rischio zero” ma se è vero – come si va da ultimo affermando – che i processi di radicalizzazione trovano terreno fertile durante le esperienze di detenzione, possiamo affermare che l’osservazione penitenziaria ha dimostrato di consentire segnalazioni importanti cui altre competenze e altre forze dovranno dare il giusto seguito. La triste storia di Berlino e la familiarità di Anis AMRI con il nostro
Paese farebbe ancor più paura (per l’imprevedibilità delle azioni terroristiche)
se dal fascicolo dell’esperienza detentiva non emergessero – secondo le
dichiarazioni affidate alla stampa – profili così netti di un ottimo sistema di
osservazione.
Partendo da ciò è il caso di affermare che ogni investimento fatto sul
Corpo di Polizia Penitenziaria, dall’integrazione organica all’attività di
formazione e aggiornamento, è un investimento sulla SICUREZZA delle nostre
strade.
L’auspicio è che a tale riflessione si giunga in maniera unanime.
161223_Anis AMRI_attentatore di Berlino e la sua esperienza detentiva
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