Dura la critica del Si.N.A.P.Pe nei confronti del progetto presentato ieri nei palazzi di Via Arenula alle compagini sindacali del Corpo di Polizia Penitenziaria. A presiedere l’incontro, il Sottosegretario Gennaro Migliore. L’atto normativo è quello approvato lo scorso 22 Dicembre, che si propone di riformare l’Ordinamento Penitenziario e con esso dare maggiore valorizzazione al ruolo della Polizia Penitenziaria. L’incontro era atteso, così come era atteso che si riempissero di contenuti gli ormai famosi 5 punti definiti nel comunicato stampa che il Governo ha diffuso dopo l’approvazione del Decreto Legislativo. Pur apprezzando gli sforzi profusi per modificare un impianto evidentemente inattuale, il percorso tracciato pare non presentare quelle caratteristiche performanti, tali da realizzare gli alti obiettivi prefissati. La critica del Si.N.A.P.Pe muove dall’analisi del dato, vale a dire dalla fotografia dell’attuale, perché prima ancora di interrogarsi sui sistemi di deflazionamento dei penitenziari attraverso la predisposizione di strumenti che consentano un più facile accesso alle misure alternative, bisognerebbe comprendere i motivi dell’accesso, la tipologia dei reati, il ricorso alla carcerazione preventiva (il 17 % dell’intera popolazione detenuta è in attesa di giudizio). Se le precedenti misure “svuota carceri” (che hanno portato alla scarcerazione di 22500 persone e dovevano rappresentare provvedimenti di urgenza) non hanno condotto agli effetti sperati in termini di stabilità e di medio e lungo periodo, ben altro ci si attende da una misura di riforma dell’impianto esistente. Ma – a guardar lontano – nulla o poco cambia nel panorama penitenziario nonostante la riforma, così attribuendo carattere di “dichiarazione profetica attuale e futura” alle parole dello stesso Ministro della Giustizia “un carcere che funziona male è un carcere che genera insicurezza, dove aumenta la recidiva e dove alla fine i soldi spesi dai contribuenti rischiano di alimentare più la spirale criminale che non un percorso di rieducazione e di reinserimento” .
Se da un lato, comprensibilmente, spaventa il concetto della depenalizzazione, dall’altro è utopistico pensare di riformare il carcere attraverso un ammorbidimento dei criteri di accesso alle misure alternative, specie se queste – sulla scorta di controlli sul condannato che rischiano di rimanere mera previsione normativa – attuano una metamorfosi della sanzione da “alternativa alla detenzione” ad “alternativa della pena”; il rischio concreto è quello di creare forme dissimulate di impunità. E proprio attraverso il sistema dei controlli del condannato, rafforzati attraverso una blanda modifica dei compiti istituzionali della Polizia Penitenziaria, il Governo si prefigge di realizzare quella promessa valorizzazione del Corpo. Il tutto senza investire in risorse: un incremento delle competenze che fa il paio con il decremento degli organici. Come ritenere dunque soddisfacente una misura normativa che dopo oltre 40 anni – in un periodo storico completamente diverso – pensa di “riformare” l’ordinamento penitenziario con cambiamenti marginali? Una disamina diversa e più compiuta delle condizioni odierne, con il coinvolgimento di tutti gli attori in campo, avrebbe messo in luce molte delle contraddizioni esistenti, il cui superamento avrebbe contribuito effettivamente a “riformare” lo stato delle cose; una su tutte, l’esame dei “permessi premio”. Proprio su questa materia il dato numerico è emblematico se mettiamo a confronto due realtà abbastanza simili per dimensioni: Lazio e Lombardia. Nella prima realtà sono stati concessi, nell’anno 2017, 1411 permessi, nella seconda 12078; una sproporzione che dovrebbe indurre il Ministro della Giustizia a ragionare anche in termini di linee di indirizzo per la Magistratura di Sorveglianza, magari fissando comuni denominatori che avvicinino “giustizialisti” e “garantisti” fino a riempire di effettivo contenuto quella misura prevista proprio dall’Ordinamento Penitenziario. Forse, prima ancora di interventi innovativi, sarebbe il caso di riflettere sul funzionamento di ciò che già c’è!
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COMUNICATO – Ordinamento Penitenziario: una riforma inefficace!
Dura la critica del Si.N.A.P.Pe nei confronti del progetto presentato ieri nei palazzi di Via Arenula alle compagini sindacali del Corpo di Polizia Penitenziaria. A presiedere l’incontro, il Sottosegretario Gennaro Migliore. L’atto normativo è quello approvato lo scorso 22 Dicembre, che si propone di riformare l’Ordinamento Penitenziario e con esso dare maggiore valorizzazione al ruolo della Polizia Penitenziaria. L’incontro era atteso, così come era atteso che si riempissero di contenuti gli ormai famosi 5 punti definiti nel comunicato stampa che il Governo ha diffuso dopo l’approvazione del Decreto Legislativo. Pur apprezzando gli sforzi profusi per modificare un impianto evidentemente inattuale, il percorso tracciato pare non presentare quelle caratteristiche performanti, tali da realizzare gli alti obiettivi prefissati. La critica del Si.N.A.P.Pe muove dall’analisi del dato, vale a dire dalla fotografia dell’attuale, perché prima ancora di interrogarsi sui sistemi di deflazionamento dei penitenziari attraverso la predisposizione di strumenti che consentano un più facile accesso alle misure alternative, bisognerebbe comprendere i motivi dell’accesso, la tipologia dei reati, il ricorso alla carcerazione preventiva (il 17 % dell’intera popolazione detenuta è in attesa di giudizio). Se le precedenti misure “svuota carceri” (che hanno portato alla scarcerazione di 22500 persone e dovevano rappresentare provvedimenti di urgenza) non hanno condotto agli effetti sperati in termini di stabilità e di medio e lungo periodo, ben altro ci si attende da una misura di riforma dell’impianto esistente. Ma – a guardar lontano – nulla o poco cambia nel panorama penitenziario nonostante la riforma, così attribuendo carattere di “dichiarazione profetica attuale e futura” alle parole dello stesso Ministro della Giustizia “un carcere che funziona male è un carcere che genera insicurezza, dove aumenta la recidiva e dove alla fine i soldi spesi dai contribuenti rischiano di alimentare più la spirale criminale che non un percorso di rieducazione e di reinserimento” .
Se da un lato, comprensibilmente, spaventa il concetto della depenalizzazione, dall’altro è utopistico pensare di riformare il carcere attraverso un ammorbidimento dei criteri di accesso alle misure alternative, specie se queste – sulla scorta di controlli sul condannato che rischiano di rimanere mera previsione normativa – attuano una metamorfosi della sanzione da “alternativa alla detenzione” ad “alternativa della pena”; il rischio concreto è quello di creare forme dissimulate di impunità. E proprio attraverso il sistema dei controlli del condannato, rafforzati attraverso una blanda modifica dei compiti istituzionali della Polizia Penitenziaria, il Governo si prefigge di realizzare quella promessa valorizzazione del Corpo. Il tutto senza investire in risorse: un incremento delle competenze che fa il paio con il decremento degli organici. Come ritenere dunque soddisfacente una misura normativa che dopo oltre 40 anni – in un periodo storico completamente diverso – pensa di “riformare” l’ordinamento penitenziario con cambiamenti marginali? Una disamina diversa e più compiuta delle condizioni odierne, con il coinvolgimento di tutti gli attori in campo, avrebbe messo in luce molte delle contraddizioni esistenti, il cui superamento avrebbe contribuito effettivamente a “riformare” lo stato delle cose; una su tutte, l’esame dei “permessi premio”. Proprio su questa materia il dato numerico è emblematico se mettiamo a confronto due realtà abbastanza simili per dimensioni: Lazio e Lombardia. Nella prima realtà sono stati concessi, nell’anno 2017, 1411 permessi, nella seconda 12078; una sproporzione che dovrebbe indurre il Ministro della Giustizia a ragionare anche in termini di linee di indirizzo per la Magistratura di Sorveglianza, magari fissando comuni denominatori che avvicinino “giustizialisti” e “garantisti” fino a riempire di effettivo contenuto quella misura prevista proprio dall’Ordinamento Penitenziario. Forse, prima ancora di interventi innovativi, sarebbe il caso di riflettere sul funzionamento di ciò che già c’è!
Vi terremo aggiornati sugli sviluppi
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