“NON SI METTA ALLA GOGNA L’’ATTIVITÀ DELLA
POLIZIA PENITENZIARIA..
LA VIOLENZA GRATUITA NON È MAI ESISTITA”
Diventa legge il nuovo articolo 613 bis del codice penale a norma del quale “Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona” Pene più gravi, fino a dodici anni di reclusione, sono previste “se i fatti sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio. Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti”.
“La novità legislativa va accolta con cautela ed equilibrio, senza facili allarmismi ma con consapevolezza dei riflessi che potrebbero prodursi nel nostro mondo” questo il commento a caldo che la Segreteria Generale del Si.N.A.P.Pe affida alla stampa.
“Non ci preoccupa la condotta descritta nel precetto della norma, lontana anni luce dal modo di rapportarsi della polizia penitenziaria alle persone sottoposte a custodia. Ciò che ci allarma è la strumentalizzazione dei contenuti, l’assenza di confini certi fra ciò che rientra nelle azioni legittime e ciò che potrebbe non esser ritenuto tale” Sia chiaro – sfatato il mito del “carcere lager” e dei “poliziotti penitenziari aguzzini” – non possiamo ritenere che la cristallizzazione del reato di tortura vada letto in stretta connessione con le attività di polizia, sia essa intra che extra muraria, ma il presentimento che si traduca in un affievolimento delle garanzie degli uomini e delle donne in divisa, beh questo sì.
Forse questa volta il legislatore, prima ancora di legiferare (pure rispondendo agli impulsi dell’Europa) avrebbe dovuto confrontarsi con gli addetti ai lavori; capire e meglio pesare il reale declinarsi e la delicatezza delle dinamiche di sicurezza e con esse contemperare l’introduzione del reato di tortura.”
MODIFICHE AL CODICE PENALE INTRODOTTO L’’ARTICOLO 613 BIS SUL REATO DI TORTURA
“NON SI METTA ALLA GOGNA L’’ATTIVITÀ DELLA
POLIZIA PENITENZIARIA..
LA VIOLENZA GRATUITA NON È MAI ESISTITA”
Diventa legge il nuovo articolo 613 bis del codice penale a norma del quale “Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona” Pene più gravi, fino a dodici anni di reclusione, sono previste “se i fatti sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio. Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti”.
“La novità legislativa va accolta con cautela ed equilibrio, senza facili allarmismi ma con consapevolezza dei riflessi che potrebbero prodursi nel nostro mondo” questo il commento a caldo che la Segreteria Generale del Si.N.A.P.Pe affida alla stampa.
“Non ci preoccupa la condotta descritta nel precetto della norma, lontana anni luce dal modo di rapportarsi della polizia penitenziaria alle persone sottoposte a custodia. Ciò che ci allarma è la strumentalizzazione dei contenuti, l’assenza di confini certi fra ciò che rientra nelle azioni legittime e ciò che potrebbe non esser ritenuto tale” Sia chiaro – sfatato il mito del “carcere lager” e dei “poliziotti penitenziari aguzzini” – non possiamo ritenere che la cristallizzazione del reato di tortura vada letto in stretta connessione con le attività di polizia, sia essa intra che extra muraria, ma il presentimento che si traduca in un affievolimento delle garanzie degli uomini e delle donne in divisa, beh questo sì.
Forse questa volta il legislatore, prima ancora di legiferare (pure rispondendo agli impulsi dell’Europa) avrebbe dovuto confrontarsi con gli addetti ai lavori; capire e meglio pesare il reale declinarsi e la delicatezza delle dinamiche di sicurezza e con esse contemperare l’introduzione del reato di tortura.”
170706_comunicato_introdotto-reato-di-tortura
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