
Sottosegretario SISTO:
“la Polizia Penitenziaria non è diversa dai detenuti”
Si.N.A.P.Pe:
“non c’è solo differenza, ma un vero e proprio divario; due mondi non paragonabili”
Al netto delle vicende di Santa Maria Capua Vetere, su cui farà luce l’autorità giudiziaria, nella quale il Si.N.A.P.Pe ripone la massima fiducia, dopo un massacro mediatico che sta lapidando l’intera categoria, ci si aspetta dalle Istituzioni e dai Vertici un uso sapiente e moderato della parola.
L’infelice parallelismo operato dal Sottosegretario con delega, Francesco Paolo Sisto, non solo indigna gli appartenenti al Corpo, ma mortifica le intelligenze.
Nulla di più diverso v’è fra la polizia penitenziaria e la popolazione detenuta; è vero, si tratta in entrambi i casi di “persone” che condividono degli spazi, ma da qui a parlare di “comunità” la distanza appare abissale.
È vero: non sono due eserciti contrapposti perché non è di contrapposizione che si parla!
Da un lato, rei affidati alla custodia dello Stato, dall’altra “lo Stato”, i suoi rappresentanti, la sua istituzione, il Corpo di Polizia Penitenziaria chiamato alla parte pratica dell’esecuzione della pena, primo destinatario di una fattispecie penale, la “colpa del custode”, mai riscritta.
Da una parte coloro che hanno sbagliato e che il sistema penale ritiene di allontanare, per mezzo della reclusione, dalla vita comune, dall’altra coloro che hanno scelto di servire lo Stato e di partecipare ad un sistema di esecuzione della pena nel pieno rispetto della sua funzione costituzionale!
Al netto dei doverosi distinguo, mai come in questo momento necessari, e al netto delle personali responsabilità penali, la massificazione nuoce al sistema!
E questo è ciò che si compie quando si adoperano parallelismi “infelici” qual è quello che oggi commentiamo.
Condividiamo la necessità di una formazione costante, posta alla base di qualsiasi attività lavorativa ed in special modo di quelle particolarmente complesse come la nostra; plaudiamo alla volontà di procedimentalizzare le fasi autorizzative, ma quello di cui ha bisogno la polizia penitenziaria è ben altro!
Spiace come l’oblio abbia avvolto le rivolte del marzo 2020, come la memoria abbia cancellato le quotidiane aggressioni e che si pensi oggi solo ad una Polizia penitenziaria “violenta” e non come vittima di sistema carcere che non è in grado di tutelare i suoi uomini mandandoli in battaglia armati della sola speranza di riportare a casa la pelle: perché il lancio di olio bollente in faccia al collega di sezione, in fondo, è solo un rischio del mestiere!