
Illustrissimi in indirizzo,
ancora una volta ci troviamo a dover esprimerci sulla spinosa questione di video circolanti sul noto social network “tik-tok” su cui vengono pubblicati video afferenti il carcere e la sua quotidianità.
Questa volta trattasi di un video che accompagnato da musica neomelodica, immortala un detenuto che con il telefono mobile gira nei corridoi del reparto, riprendendo anche l’operatore di polizia penitenziaria oltre che altri detenuti.
A guardar bene, è verosimile che trattasi di una registrazione effettuata dal telefono del ricevente e da quest’ultimo postato sul social. È plausibile pensare che gli accadimenti siano da ricollegare al possesso dell’apparato da parte del detenuto per l’effettuazione di una videochiamata.
La registrazione non giova all’immagine dell’intera amministrazione né a quella del Corpo e di fatto “ridicolizza” il concetto stesso di detenzione.
Senza voler scandagliare i profili sociologici connessi alla vicenda, qui si vuole fare un focus sul concetto di “videochiamata” e sulla disciplina dettata dalla stessa Amministrazione Penitenziaria.
Con circolare 31246 del 30 gennaio 2019, l’allora Capo Dipartimento equiparava le videochiamate sul piano giuridico ai colloqui e disciplinava in maniera rigida l’effettuazione degli stessi anche sotto il profilo dei controlli.
I noti accadimenti del periodo pandemico hanno reso lo strumento della videochiamata una valida alternativa ai colloqui con i familiari ed il numero degli stessi è di fatto salito sensibilmente.
Quella che non è stata, invece, tracciata con altrettanta foga è stata la disciplina operativa.
Se si considera effettivamente la bontà del progetto in se, apprezzato tanto dall’utenza quanto dagli addetti ai lavori, spiazza dover ragionare sulla deriva verso la quale si muove un uso quasi incontrollato se non addirittura incontrollabile dell’apparecchio telefonico.
Se la circolare innanzi citata descriveva a livello operativo la necessità di individuazione di locali appositi ed il controllo visivo da parte del personale, ad oggi è ben altra la realtà che si racconta, ed il lungo elenco di video su tik-tok ne costituisce la prova.
Né diversamente potrebbe essere se l’attività si demanda ad un numero irrisorio di operatori in ragione della mai superata carenza organica.
Il concetto della videochiamata è un passo in avanti fatto dalla quotidianità penitenziaria, ma merita di essere coltivato ed inscritto nelle medesime maglie regolamentari dei colloqui visivi, in linea con le indicazioni date all’atto dell’attivazione del servizio.
Proprio al fine di renderla la modalità per eccellenza di mantenimento dei contatti con la famiglia, è innegabilmente opportuno individuare dei meccanismi che consentano di arginare la deriva patologica dell’utilizzo errato che si rischia di farne.