
Illustrissimo Sig. Provveditore,
la prima fase dell’emergenza sanitaria correlata al Coronavirus ed alla conseguente necessità di prevenirne o comunque di contenerne la diffusione del contagio ha portato alla pressoché totale preclusione delle movimentazioni di detenuti tra i vari istituti penitenziari onde evitare che il virus potesse diffondersi all’interno degli stessi.
Sin da subito, peraltro, sono state prima limitate e poi vietate le movimentazioni in entrata ed in uscita all’interno degli istituti di pena attraverso la sospensione dei colloqui con i familiari e con le cd. “terze persone”, attraverso la sospensione delle attività dei volontari e delle associazioni esterne, la sospensione dei permessi premio, del regime di semilibertà e del lavoro esterno ex art. 21 dell’ Ordinamento Penitenziario. Tali processi decisionali si sono tradotti nell’emanazione di un considerevole numero di provvedimenti amministrativi che hanno cercato di disciplinare la gestione dell’emergenza sanitaria de quo in maniera confusa e disarticolata sia nella forma che nei contenuti, dando luogo ad un sistema di norme regolamentari di difficile comprensione ermeneutica e, di conseguenza, di altrettanto difficile applicazione uniforme.
Il riscontro dei primi casi di positività al covid-19 in alcuni penitenziari hanno certificato il fallimento della strategia adottata dall’ Amministrazione Penitenziaria per affrontare l’emergenza sanitaria tuttora in essere, rendendo più che mai necessario un cambio di passo con l’adozione immediata di misure diverse che possano contrastare l’epidemia con maggiore incisività ed efficacia.
Giova evidenziare che la questione di cui trattasi è oltremodo delicata, considerato che trattasi di salvaguardare non soltanto la salute dei detenuti e degli operatori penitenziari, bensì anche quella dell’intera collettività nel momento in cui i detenuti stessi vengono ammessi a fruire di misure extramurarie.
La marcata recrudescenza della fase pandemica che proprio in questi giorni ha fatto registrare numeri preoccupanti ed in continua e costante ascesa, ha riportato prepotentemente all’ordine del giorno una vexata quaestio mai risolta, ovvero la drammatica carenza di camere detentive dove poter isolare le persone contagiate, i loro contatti nonché le persone sintomatiche, problematica questa che peraltro si riscontra in particolar modo presso la II^ Casa di Reclusione di Milano Bollate, Istituto di Pena che, per la sua vocazione trattamentale, registra al suo interno la presenza di oltre 150 detenuti che escono quotidianamente fuori dalla struttura penitenziaria per svolgere attività lavorativa nonché un numero considerevole di ristretti che fruiscono di permessi premio ex art. 30 ter dell’Ordinamento Penitenziario.
A tal proposito duole evidenziare che la Direzione della II^ Casa di Reclusione di Milano Bollate, sembrerebbe avere adottato un’interpretazione discutile e, in alcuni casi, financo palesemente erronea, dell’impianto normativo (giuridico ed amministrativo) nonché delle circolari esplicative attualmente in vigore debitamente diramate dal D.A.P e finalizzate al contenimento dell’emergenza sanitaria derivante dalla diffusione del covid-19.
Nell’ambito delle misure finalizzate al contenimento della pandemia in atto, è oramai prassi consolidata della sopraccitata Direzione adottare provvedimenti difformi in presenza di casi analoghi a seconda che destinatario di tali provvedimenti sia il personale amministrato ovvero la popolazione detenuta, come se l’analogia dei casi non fosse un fatto oggettivo, bensì dipendesse dalla tipologia dei soggetti coinvolti.
A ciò si aggiunga la palese inefficienza dell’Area Sanitaria, altra nota assai dolente, la quale, malgrado i cambiamenti posti in essere per affrontare l’emergenza Covid19, resta comunque, verosimilmente, l’area peggio organizzata dell’istituto di pena di Milano Bollate ed è pertanto da considerarsi del tutto inadeguata alla complessità del predetto istituto di pena.
A riprova di quanto sopra esposto, ovvero della mancata applicazione uniforme dei protocolli sanitari vigenti, il personale amministrato, in caso di contatto accertato con un soggetto positivo al covid-19, viene sottoposto al tampone, ma, in attesa del relativo esito, contrariamente a quanto previsto dai richiamati protocolli sanitari, invece di essere preventivamente isolato, può tranquillamente continuare a svolgere regolare servizio con conseguente concreto rischio che, qualora qualcuno dei tamponati risulti successivamente positivo, possa avere nel frattempo contagiato altro personale, dando così vita ad un circolo vizioso di tracciamento di contatti dal quale potrebbe scaturire potenzialmente un cluster di contagiati non facilmente individuabile e pertanto impossibile da isolare.
Parimenti censurabile è la prassi adottata dalla suddetta Direzione la quale procede all’effettuazione dei tamponi nell’immediatezza del contatto con il positivo accertato, ignorando la cosiddetta fase finestra che dura più giorni ed in cui il virus, pur essendo presente nell’organismo del soggetto tamponato, non è rilevabile per il mancato decorso del periodo di incubazione.
Per la popolazione detenuta, invece, in caso di contatto con soggetto positivo, la prassi è totalmente diversa, infatti il detenuto viene immediatamente trasferito in un reparto specificamente destinato all’esecuzione del regime di isolamento sanitario precauzionale e vi permane per almeno 10 giorni, durante i quali viene sottoposto a due tamponi che, ovviamente, dovranno risultare negativi, ciò ad ulteriore differenza di quanto accade per il personale amministrato il quale ordinariamente viene sottoposto ad un solo tampone.
Orbene, la scrivente O.S., al contrario della Direzione, ha invece preso atto
dell’aumento esponenziale dei contagi da covid-19 che sta emergendo proprio in questi giorni a livello nazionale, la qual cosa ha avuto inevitabili ed evidenti riflessi anche sulla popolazione detenuta, circostanza che trova piena conferma nell’elevato numero di casi accertati di soggetti positivi al covid19, soprattutto tra i detenuti che usufruiscono dei benefici di legge (art. 21 Ordinamento Penitenziario – semilibertà e permessi premio) cui fa da preoccupante contraltare una assoluta mancanza di adeguate forme di prevenzione sia per la Polizia Penitenziaria e per gli altri operatori penitenziari che per la popolazione detenuta.
I detenuti che usufruiscono dei benefici sopra richiamati, nonostante siano isolati precauzionalmente in un reparto specificamente destinato a loro, continuano comunque ad aver contatti più o meno prolungati con la restante popolazione detenuta in occasione dei colloqui con i familiari e di tutte le altre movimentazioni che li vedono protagonisti, tra le quali la frequentazione del pronto soccorso dell’istituto e dei vari uffici interni quali la matricola, il casellario, i conti correnti, l’area trattamentale e via discorrendo.
Alla luce di quanto esposto in narrativa, voglia la S.V. sensibilizzare e richiamare la Direzione di Milano Bollate ad una scrupolosa nonché corretta e lineare applicazione dei protocolli sanitari attualmente in vigore, finalizzati alla tutela di un diritto primario e costituzionalmente tutelato, ovvero il diritto alla salute che deve essere inderogabilmente garantito sia agli operatori penitenziari tutti che alla popolazione detenuta.
Al Presidente del Tribunale di Sorveglianza, che legge per conoscenza, si chiede, nell’ambito del cd. decreto legge “Cura Italia”, di valutare l’opportunità di sospendere momentaneamente e fino a cessata esigenza sanitaria, l’esecuzione dei permessi premio, del regime di semilibertà, nonché del regime di cui all’art. 21 O.P. per quanto concerne i detenuti ammessi al lavoro all’esterno, ottemperando in tal modo alle indicazioni diramate dall’autorità sanitaria (Art. 83, co. 17, d.l. n. 17/2020, cd. “Cura Italia”).
A conclusione della presente nota, si chiede alla S.V. di impegnarsi anche oltre il petitum, non solo vigilando sulla corretta applicazione dei protocolli vigenti, bensì anche implementando ulteriori possibili strategie di prevenzione del contagio da covid-19 la cui diffusione in un ambiente chiuso e con spazi vitali ridotti qual’è quello penitenziario potrebbe avere conseguenze devastanti non solo a carico della popolazione detenuta, bensì anche della Polizia Penitenziaria e degli operatori penitenziari tutti.
In attesa di cortese e sollecito riscontro, si ringrazia per la cortese Attenzione e Le porgo deferenti saluti.