Ill.mo Presidente viene pubblicato sul giornale “La Repubblica” in data 02 luglio 2017 l’articolo titolato “il doppio codice della giustizia” a firma della nota giornalista Concita De Gregorio. Nell’articolo in questione la giornalista si limita a presentare una lettera ricevuta da tal Sergio Abis, personaggio ospite nel recente passato di alcune case circondariali del Paese ed attualmente in detenzione domiciliare per un tentativo di omicidio, colpevole reo confesso. Nella propria lettera alla giornalista, che pare essere stata pubblicata integralmente, il signor Abis ipotizza, con inaudita gravità e senza alcun sostegno documentale, il completo fallimento del sistema penitenziario. Dopo un breve excursus del proprio curriculum professionale che serve, evidentemente, a dare peso e spessore alle affermazioni che seguono, l’autore della lettera, facendo “tesoro” della propria esperienza penitenziaria, si prefigge di portare all’esterno le presunte brutture di un ambiente (molto simile a quello romanzato dalla narrativa o partorito dalla fantasia della cinematografia di tutti i tempi) che per definizione “spaventa” .
“Entrando ero consapevole che avrei dovuto sperimentare violenza e condizioni disumane puntualmente verificatesi”: questo l’incipit della descrizione che appunto fonda l’idea di una mitizzazione negativa del concetto proprio di penitenziario, rinsaldato dalla successiva affermazione “ mi aspettavo un carcere in cui il recupero del recluso, come prescritto della Costituzione, fosse pressoché assente; i dati sulla recidiva sono incontrovertibili”.
“La sorpresa sconvolgente, tuttavia, è stato toccare con mano la sostanziale illegalità della vita quotidiana del detenuto” prosegue ancora Ibis “Ogni singolo atto del recluso è regolato da un codice elaborato dagli stessi carcerati e dominato da coloro che col carcere hanno una lunga confidenza: i delinquenti abituali”. Ma se fin qui la questione può essere annoverata fra le sensazioni personali, non proprio distaccate, di un soggetto che alla reclusione è stato condannato, i concetti successivamente snocciolati assumono criteri di inaudita gravità con un’opera di denigrazione contro il sistema carcere nel suo complesso e nello specifico contro le Amministrazioni Locali che hanno ospitato Abis.
“ L’amministrazione penitenziaria non solo non agisce in alcun modo per contrastare ilcodice illegale ma ne sfrutta la presenza per mantenere lo status quo. Ecco a questo non ero preparato; un codice criminale legato a quello carcerario da un rapporto di reciproca utilità. Ho scritto un diario con la pretesa di contribuire alla comprensione del carcere e della sua inutilità partendo da una posizione privilegiata, quella di carcerato. Il carcere è si disumano, affollato, sporco, fatiscente ma che la vita quotidiana sia regolata dalla illegalità è peggio perché priva il detenuto della possibilità di riflettere sui propri errori soprattutto se non possiede strumenti critici sviluppati, come di norma tra i reclusi. Gli leva la possibilità di cambiare vita perché lo costringe, dopo che la ha manifestato devianza e per questo è finito dentro, a continuare un esistenza quotidiana da deviante” Le parole riportate nell’articolo, senza alcun filtro, indignano gli addetti ai lavori e descrivono qualcosa di assolutamente irreale oltre che inammissibile. Ne emerge una organica
violazione delle regole da parte di coloro che le regole sono chiamate a rispettarle. Una scena di facile composizione nel teatro dell’assurdo, capace di avvincere lo spettatore con la solita enfatizzazione del “cattivo” impersonato dallo Stato.
Non basta però una lettura critica e consapevole dell’articolo a mitigare gli effetti della diffusione di una notizia di tal genere che, priva di qualsiasi fondamento documentale e logico, si pone come una aperta diffamazione non solo del sistema penitenziario ma di tutta la legislazione penale, attribuendo responsabilità (che sappiamo essere assolutamente inesistenti) a ogni Autorità, che viene a questo punto descritta come compiacente.
E’gravissima l’affermazione dell’ esistenza di un doppio codice di cui l’amministrazione sarebbe a conoscenza e di cui si servirebbe per mantenere l’ordine nella struttura.
Ma a fronte di una notizia di tal genere – indiscutibilmente grave – qual è la posizione di codesto Dipartimento? Quale le azioni poste in campo? E’ davvero necessario che debba essere una organizzazione sindacale (in rappresentanza del personale che in quell’ambiente esercita con professionalità la propria opera) a levare gli scudi a tutela dell’immagine questa volta non solo della polizia penitenziaria ma dell’intero sistema penitenziario italiano?
Si sta parlando di un articolo apparso su un giornale di ampissima tiratura che raggiunge migliaia di lettori; è facile cavalcare l’onda emozionale del “carcere dei bruti”, ma il pianeta carcere al di là del sovraffollamento, al di là delle condizioni della vita detentiva (che si cerca in ogni modo di migliorare nei limiti del possibile e con progetti trattamentali e rieducativi rispettabilissimi e per giunta onerosi) poggia su ben altri principi che sono appunto quelli rieducativi affidatici dalla Carta Costituzionale. E’ nostro preciso dovere quello di restituire alla società persone migliori rispetto a quando ci sono state affidate; e a questo lavora tutta un’equipe di professionisti di ogni settore.
Indigna la lettura di quell’articolo, indignano le parole, indigna il silenzio dell’amministrazione; le affermazioni che sono contenute in quella pagina sono gravi e meritano di essere perseguite. È doverosa un’azione di indirizzo assolutamente contrario da parte dell’Amministrazione, con la stessa identica incisività e livello di diffusione del denigrante articolo apparso su Repubblica. Una azione che miri anche all’accertamento dei profili di responsabilità penale. È una azione che l’Amministrazione Centrale deve al personale di Polizia Penitenziaria e a tutti gli altri operatori professionalmente coinvolti nei processi penitenziari. In attesa di conoscere quali saranno le azioni intraprese a contenimento di una azione di denigrazione che troppe volte si abbatte contro la Polizia Penitenziaria e non solo. Distinti saluti.
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Articolo di “La Repubblica” del 02 luglio 2017 “il doppio codice della giustizia”
Ill.mo Presidente viene pubblicato sul giornale “La Repubblica” in data 02 luglio 2017 l’articolo titolato “il doppio codice della giustizia” a firma della nota giornalista Concita De Gregorio. Nell’articolo in questione la giornalista si limita a presentare una lettera ricevuta da tal Sergio Abis, personaggio ospite nel recente passato di alcune case circondariali del Paese ed attualmente in detenzione domiciliare per un tentativo di omicidio, colpevole reo confesso. Nella propria lettera alla giornalista, che pare essere stata pubblicata integralmente, il signor Abis ipotizza, con inaudita gravità e senza alcun sostegno documentale, il completo fallimento del sistema penitenziario. Dopo un breve excursus del proprio curriculum professionale che serve, evidentemente, a dare peso e spessore alle affermazioni che seguono, l’autore della lettera, facendo “tesoro” della propria esperienza penitenziaria, si prefigge di portare all’esterno le presunte brutture di un ambiente (molto simile a quello romanzato dalla narrativa o partorito dalla fantasia della cinematografia di tutti i tempi) che per definizione “spaventa” .
“Entrando ero consapevole che avrei dovuto sperimentare violenza e condizioni disumane puntualmente verificatesi”: questo l’incipit della descrizione che appunto fonda l’idea di una mitizzazione negativa del concetto proprio di penitenziario, rinsaldato dalla successiva affermazione “ mi aspettavo un carcere in cui il recupero del recluso, come prescritto della Costituzione, fosse pressoché assente; i dati sulla recidiva sono incontrovertibili”.
“La sorpresa sconvolgente, tuttavia, è stato toccare con mano la sostanziale illegalità della vita quotidiana del detenuto” prosegue ancora Ibis “Ogni singolo atto del recluso è regolato da un codice elaborato dagli stessi carcerati e dominato da coloro che col carcere hanno una lunga confidenza: i delinquenti abituali”. Ma se fin qui la questione può essere annoverata fra le sensazioni personali, non proprio distaccate, di un soggetto che alla reclusione è stato condannato, i concetti successivamente snocciolati assumono criteri di inaudita gravità con un’opera di denigrazione contro il sistema carcere nel suo complesso e nello specifico contro le Amministrazioni Locali che hanno ospitato Abis.
“ L’amministrazione penitenziaria non solo non agisce in alcun modo per contrastare ilcodice illegale ma ne sfrutta la presenza per mantenere lo status quo. Ecco a questo non ero preparato; un codice criminale legato a quello carcerario da un rapporto di reciproca utilità. Ho scritto un diario con la pretesa di contribuire alla comprensione del carcere e della sua inutilità partendo da una posizione privilegiata, quella di carcerato. Il carcere è si disumano, affollato, sporco, fatiscente ma che la vita quotidiana sia regolata dalla illegalità è peggio perché priva il detenuto della possibilità di riflettere sui propri errori soprattutto se non possiede strumenti critici sviluppati, come di norma tra i reclusi. Gli leva la possibilità di cambiare vita perché lo costringe, dopo che la ha manifestato devianza e per questo è finito dentro, a continuare un esistenza quotidiana da deviante” Le parole riportate nell’articolo, senza alcun filtro, indignano gli addetti ai lavori e descrivono qualcosa di assolutamente irreale oltre che inammissibile. Ne emerge una organica
violazione delle regole da parte di coloro che le regole sono chiamate a rispettarle. Una scena di facile composizione nel teatro dell’assurdo, capace di avvincere lo spettatore con la solita enfatizzazione del “cattivo” impersonato dallo Stato.
Non basta però una lettura critica e consapevole dell’articolo a mitigare gli effetti della diffusione di una notizia di tal genere che, priva di qualsiasi fondamento documentale e logico, si pone come una aperta diffamazione non solo del sistema penitenziario ma di tutta la legislazione penale, attribuendo responsabilità (che sappiamo essere assolutamente inesistenti) a ogni Autorità, che viene a questo punto descritta come compiacente.
E’gravissima l’affermazione dell’ esistenza di un doppio codice di cui l’amministrazione sarebbe a conoscenza e di cui si servirebbe per mantenere l’ordine nella struttura.
Ma a fronte di una notizia di tal genere – indiscutibilmente grave – qual è la posizione di codesto Dipartimento? Quale le azioni poste in campo? E’ davvero necessario che debba essere una organizzazione sindacale (in rappresentanza del personale che in quell’ambiente esercita con professionalità la propria opera) a levare gli scudi a tutela dell’immagine questa volta non solo della polizia penitenziaria ma dell’intero sistema penitenziario italiano?
Si sta parlando di un articolo apparso su un giornale di ampissima tiratura che raggiunge migliaia di lettori; è facile cavalcare l’onda emozionale del “carcere dei bruti”, ma il pianeta carcere al di là del sovraffollamento, al di là delle condizioni della vita detentiva (che si cerca in ogni modo di migliorare nei limiti del possibile e con progetti trattamentali e rieducativi rispettabilissimi e per giunta onerosi) poggia su ben altri principi che sono appunto quelli rieducativi affidatici dalla Carta Costituzionale. E’ nostro preciso dovere quello di restituire alla società persone migliori rispetto a quando ci sono state affidate; e a questo lavora tutta un’equipe di professionisti di ogni settore.
Indigna la lettura di quell’articolo, indignano le parole, indigna il silenzio dell’amministrazione; le affermazioni che sono contenute in quella pagina sono gravi e meritano di essere perseguite. È doverosa un’azione di indirizzo assolutamente contrario da parte dell’Amministrazione, con la stessa identica incisività e livello di diffusione del denigrante articolo apparso su Repubblica. Una azione che miri anche all’accertamento dei profili di responsabilità penale. È una azione che l’Amministrazione Centrale deve al personale di Polizia Penitenziaria e a tutti gli altri operatori professionalmente coinvolti nei processi penitenziari. In attesa di conoscere quali saranno le azioni intraprese a contenimento di una azione di denigrazione che troppe volte si abbatte contro la Polizia Penitenziaria e non solo. Distinti saluti.
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