Ill.me Autorità In Europa si torna a parlare delle carceri italiane definite ancora una volta “troppo sovraffollate”, come se questa fosse una novità. È sotto gli occhi di tutti – noi operatori del Sistema – che le misure adottate in tal senso dall’Italia (dal piano carceri, alla sorveglianza dinamica) non hanno prodotto gli effetti sperati ed, evidentemente, non bastano palliativi per deflazionare i penitenziari, quanto piuttosto (e lo andiamo dicendo da sempre) un ripensamento e un rafforzamento delle misure alternative o un processo di
depenalizzazione. Ma fino a quando le fattispecie tipizzate dal codice penale continueranno
a prevedere pene detentive, al loro realizzarsi non potranno evitarsi arresti e reclusioni
negli spazi disponibili. Quale sarebbe dunque una efficace politica deflattiva dei
penitenziari italiani, se non l’ordine di non procedere con gli arresti o di non dare
esecuzione ai provvedimenti di reclusione? E’ evidente il tono provocatorio di una tale
affermazione, ma essa si rende indispensabile a fronte dell’ennesima “azione contro” che
l’Europa muove al nostro Paese. Ne usciremo sempre perdenti se le analisi saranno
condotte con logiche aritmetiche, senza tener conto del tessuto sociale che sottende la
criminalità italiana ove non sono rare le ipotesi di maxi operazioni che in prima battuta
conducono in carcere centinaia di presunti responsabili.
Ciò che questa volta ci allarma – nonostante si tratti della solita trattazione di
argomenti noti – è che a stilare il report negativo sia il “Comitato per la prevenzione della
tortura” del Consiglio d’Europa; dato che va letto unitamente all’introduzione del reato
specifico di tortura nell’ordinamento penale italiano. Quale, dunque, la tutela del personale
di Polizia Penitenziaria in questo scenario? Quale le attività del Governo italiano per
rispondere alle indicazioni dell’Europa, con occhio attento alla professionalità dei propri
operatori? Come rispondere all’assurda circostanza per cui – a fronte delle dichiarazioni
del Governo datate marzo 2017 – si sta procedendo ad una politica che porti i detenuti
stranieri ed extracomunitari a scontare le pene nel proprio Paese, siano ancora 20278
(dato aggiornato al 31 luglio 2017 – fonte Ministero della Giustizia) di cui 12045
condannati, i detenuti ancora presenti nei penitenziari italiani? L’aliquota di cui sopra
rappresenta circa il 33% dell’intera popolazione detenuta.
Quanto poi ai supposti “numerosi casi di maltrattamenti” in relazione ai quali il
Comitato pare abbia espresso preoccupazione, gli stessi rispondono alla logica del luogo
comune che dipinge il carcere come una bolgia dantesca ove operano cerberi in divisa. Le
classiche illazioni non comprovate basate su dichiarazioni spesso infondate degli stessi
reclusi. Dichiarazioni con cui abbiamo tristemente imparato a familiarizzare che non di
rado hanno dato l’input ad indagini che si sono concluse con l’archiviazione del
procedimento perché il fatto non sussiste.
Stando alla ricostruzione fatta dalla stampa, nel testo del report si specifica che “le
persone in custodia non sempre godono delle garanzie previste dalla legge” e le autorità
italiane sono dunque state invitate a fare “una comunicazione formale alle forze
dell’ordine, ricordando loro che i diritti delle persone in loro custodia devono essere
rispettati e che il maltrattamento di tali persone sarà perseguito e sanzionato di
conseguenza”. Una indicazione oltremodo ultronea, figlia di un approccio meramente
cattedratico e lontano anni luce dalla realtà contestualizzata dei nostri penitenziari, che
offende profondamente la professionalità della Polizia Penitenziaria e delle altre forze
dell’Ordine.
Ciò posto, si auspica un intervento tanto del Ministro, tanto dei Vertici di
Amministrazione, teso ad una interlocuzione con l’Europa in un’ottica di reale
contestualizzazione dei dati risultanti dalle analisi condotte.
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Carceri sovraffollate – nuova indicazione di Strasburgo per l’Italia
Ill.me Autorità In Europa si torna a parlare delle carceri italiane definite ancora una volta “troppo sovraffollate”, come se questa fosse una novità. È sotto gli occhi di tutti – noi operatori del Sistema – che le misure adottate in tal senso dall’Italia (dal piano carceri, alla sorveglianza dinamica) non hanno prodotto gli effetti sperati ed, evidentemente, non bastano palliativi per deflazionare i penitenziari, quanto piuttosto (e lo andiamo dicendo da sempre) un ripensamento e un rafforzamento delle misure alternative o un processo di
depenalizzazione. Ma fino a quando le fattispecie tipizzate dal codice penale continueranno
a prevedere pene detentive, al loro realizzarsi non potranno evitarsi arresti e reclusioni
negli spazi disponibili. Quale sarebbe dunque una efficace politica deflattiva dei
penitenziari italiani, se non l’ordine di non procedere con gli arresti o di non dare
esecuzione ai provvedimenti di reclusione? E’ evidente il tono provocatorio di una tale
affermazione, ma essa si rende indispensabile a fronte dell’ennesima “azione contro” che
l’Europa muove al nostro Paese. Ne usciremo sempre perdenti se le analisi saranno
condotte con logiche aritmetiche, senza tener conto del tessuto sociale che sottende la
criminalità italiana ove non sono rare le ipotesi di maxi operazioni che in prima battuta
conducono in carcere centinaia di presunti responsabili.
Ciò che questa volta ci allarma – nonostante si tratti della solita trattazione di
argomenti noti – è che a stilare il report negativo sia il “Comitato per la prevenzione della
tortura” del Consiglio d’Europa; dato che va letto unitamente all’introduzione del reato
specifico di tortura nell’ordinamento penale italiano. Quale, dunque, la tutela del personale
di Polizia Penitenziaria in questo scenario? Quale le attività del Governo italiano per
rispondere alle indicazioni dell’Europa, con occhio attento alla professionalità dei propri
operatori? Come rispondere all’assurda circostanza per cui – a fronte delle dichiarazioni
del Governo datate marzo 2017 – si sta procedendo ad una politica che porti i detenuti
stranieri ed extracomunitari a scontare le pene nel proprio Paese, siano ancora 20278
(dato aggiornato al 31 luglio 2017 – fonte Ministero della Giustizia) di cui 12045
condannati, i detenuti ancora presenti nei penitenziari italiani? L’aliquota di cui sopra
rappresenta circa il 33% dell’intera popolazione detenuta.
Quanto poi ai supposti “numerosi casi di maltrattamenti” in relazione ai quali il
Comitato pare abbia espresso preoccupazione, gli stessi rispondono alla logica del luogo
comune che dipinge il carcere come una bolgia dantesca ove operano cerberi in divisa. Le
classiche illazioni non comprovate basate su dichiarazioni spesso infondate degli stessi
reclusi. Dichiarazioni con cui abbiamo tristemente imparato a familiarizzare che non di
rado hanno dato l’input ad indagini che si sono concluse con l’archiviazione del
procedimento perché il fatto non sussiste.
Stando alla ricostruzione fatta dalla stampa, nel testo del report si specifica che “le
persone in custodia non sempre godono delle garanzie previste dalla legge” e le autorità
italiane sono dunque state invitate a fare “una comunicazione formale alle forze
dell’ordine, ricordando loro che i diritti delle persone in loro custodia devono essere
rispettati e che il maltrattamento di tali persone sarà perseguito e sanzionato di
conseguenza”. Una indicazione oltremodo ultronea, figlia di un approccio meramente
cattedratico e lontano anni luce dalla realtà contestualizzata dei nostri penitenziari, che
offende profondamente la professionalità della Polizia Penitenziaria e delle altre forze
dell’Ordine.
Ciò posto, si auspica un intervento tanto del Ministro, tanto dei Vertici di
Amministrazione, teso ad una interlocuzione con l’Europa in un’ottica di reale
contestualizzazione dei dati risultanti dalle analisi condotte.
170911_ministro_relazione-del-cpt_strasburgo-bacchetta-litalia
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