Egregio Direttore,
la scrivente O.S. è venuta a conoscenza di quanto avvenuto nei giorni scorsi presso codesta Casa Circondariale, ove ad un detenuto magrebino inviato in ospedale per una visita medica, veniva diagnosticata un’infezione da TBC conclamata. Il personale che aveva condotto presso il nosocomio cittadino il suddetto detenuto, senza alcuna precauzione ne protezione, restava sgomento nell’apprendere dai medici della struttura sanitaria l’entità della patologia sofferta dal magrebino che scortavano e la gravità del rischio che avevano corso. Successivamente apprendevamo che il detenuto era stato allocato, fIn dal mese di Marzo, presso la sezione infermeria dell’Istituto felsineo, in assenza di una sezione destinata specificatamente all’osservazione sanitaria e comportamentale dei cd nuovi giunti.
Il SiNAPPe da sempre rappresenta, alle singole Direzioni del Distretto ed al superiore Prap, la necessità che l’accoglienza di detenuti nuovi giunti vada gestita presso appositi reparti di osservazione e cura, evitando di mettere subito a vita comune soggetti provenienti dalla libertà, sui quali sarebbe necessario, quanto meno, eseguire quegli accertamenti diagnostichi volti ad escludere l’eventuale presenza di patologie infettive (le più diffuse in carcere sono Hbv, Hcv, Hiv, Tbc e Lue), quale ad esempio, nel caso di specie, il test di mantoux. Inoltre, crediamo vadano adottate idonee procedure per l’accettazione e l’isolamento sanitario di detenuti con diagnosi di tubercolosi polmonare accertata o sospetta, a partire dall’uso da parte del personale sanitario e di sorveglianza di Dispositivi di Protezione Individuale (ad esempio, mascherina filtrante facciale e non semplice mascherina chirurgica, guanti in lattice, camice monouso impermeabile, ecc.). Andrebbe poi, a nostro avviso, dotato tale reparto d’isolamento di un Contenitore per RifIuti Sanitari Pericolosi a Rischio Infettivo (clinipak), nonché di materiale igienico monouso quale, ad esempio, un semplice sapone antisettico.
Premesso quanto sopra ed a dimostrazione di quanto si sia colpevolmente rischiato in questa situazione, ricordiamo che, secondo alcuni studi, una persona in carcere rischia di ammalarsi di Tbc 23 volte di più di un qualunque cittadino libero e ha un rischio 26 volte maggiore di avere la Tbc latente (la forma asintomatica in cui il batterio che causa la malattia non si manifesta se non dopo molti anni). Si arriva alla preoccupante asserzione che un caso su 11 di tubercolosi diagnosticato nella popolazione generale potrebbe essere attribuito ad un qualche contatto intervenuto con la popolazione carceraria. Converrà con noi come non sia possibile tollerare eventuali leggerezze nell’affrontare il tema della prevenzione sanitaria rispetto alla salute di lavoratori ed utenza.
E’ per tale ragione che crediamo sia fondamentale che ognuno, per quanto di rispettiva competenza, si adoperi affinché trovi finalmente piena attuazione il D.Lvo n. 230/99 (“Riordino della medicina penitenziaria a norma dell’articolo 5, della legge legge 30 novembre 1998, n. 419”) e relativi Decreti attuativi, non ultimo il DPCM dell’Aprile 2008 (“modalità e criteri per il trasferimento al SSN delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse fnanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria”), che prevede che l’assistenza sanitaria sia garantita attraverso la collaborazione reciproca delle due Amministrazioni, DAP e SSN., al fne di prevedere, per le malattie infettive relative all’ambiente lavorativo, periodiche forme di profilassi, nonché, così come avviene in alcuni Istituti di pena, procedure di profIlassi tipizzate per tutti i detenuti Nuovi Giunti.
Siamo, pertanto, a chiederLe di voler mettere in atto tutto quanto necessario affinché siano avviate, con urgenza, le operazione di screening sulla salute di tutti gli operatori penitenziari e di tutti i detenuti presenti in Istituto, volte a scongiurare ogni eventuale contagio o contatto col batterio della TBC, anche nella sua forma latente.
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CASA CIRCONDARIALE DI BOLOGNA – Infezione da TBC.
Egregio Direttore,
la scrivente O.S. è venuta a conoscenza di quanto avvenuto nei giorni scorsi presso codesta Casa Circondariale, ove ad un detenuto magrebino inviato in ospedale per una visita medica, veniva diagnosticata un’infezione da TBC conclamata. Il personale che aveva condotto presso il nosocomio cittadino il suddetto detenuto, senza alcuna precauzione ne protezione, restava sgomento nell’apprendere dai medici della struttura sanitaria l’entità della patologia sofferta dal magrebino che scortavano e la gravità del rischio che avevano corso. Successivamente apprendevamo che il detenuto era stato allocato, fIn dal mese di Marzo, presso la sezione infermeria dell’Istituto felsineo, in assenza di una sezione destinata specificatamente all’osservazione sanitaria e comportamentale dei cd nuovi giunti.
Il SiNAPPe da sempre rappresenta, alle singole Direzioni del Distretto ed al superiore Prap, la necessità che l’accoglienza di detenuti nuovi giunti vada gestita presso appositi reparti di osservazione e cura, evitando di mettere subito a vita comune soggetti provenienti dalla libertà, sui quali sarebbe necessario, quanto meno, eseguire quegli accertamenti diagnostichi volti ad escludere l’eventuale presenza di patologie infettive (le più diffuse in carcere sono Hbv, Hcv, Hiv, Tbc e Lue), quale ad esempio, nel caso di specie, il test di mantoux. Inoltre, crediamo vadano adottate idonee procedure per l’accettazione e l’isolamento sanitario di detenuti con diagnosi di tubercolosi polmonare accertata o sospetta, a partire dall’uso da parte del personale sanitario e di sorveglianza di Dispositivi di Protezione Individuale (ad esempio, mascherina filtrante facciale e non semplice mascherina chirurgica, guanti in lattice, camice monouso impermeabile, ecc.). Andrebbe poi, a nostro avviso, dotato tale reparto d’isolamento di un Contenitore per RifIuti Sanitari Pericolosi a Rischio Infettivo (clinipak), nonché di materiale igienico monouso quale, ad esempio, un semplice sapone antisettico.
Premesso quanto sopra ed a dimostrazione di quanto si sia colpevolmente rischiato in questa situazione, ricordiamo che, secondo alcuni studi, una persona in carcere rischia di ammalarsi di Tbc 23 volte di più di un qualunque cittadino libero e ha un rischio 26 volte maggiore di avere la Tbc latente (la forma asintomatica in cui il batterio che causa la malattia non si manifesta se non dopo molti anni). Si arriva alla preoccupante asserzione che un caso su 11 di tubercolosi diagnosticato nella popolazione generale potrebbe essere attribuito ad un qualche contatto intervenuto con la popolazione carceraria. Converrà con noi come non sia possibile tollerare eventuali leggerezze nell’affrontare il tema della prevenzione sanitaria rispetto alla salute di lavoratori ed utenza.
E’ per tale ragione che crediamo sia fondamentale che ognuno, per quanto di rispettiva competenza, si adoperi affinché trovi finalmente piena attuazione il D.Lvo n. 230/99 (“Riordino della medicina penitenziaria a norma dell’articolo 5, della legge legge 30 novembre 1998, n. 419”) e relativi Decreti attuativi, non ultimo il DPCM dell’Aprile 2008 (“modalità e criteri per il trasferimento al SSN delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse fnanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria”), che prevede che l’assistenza sanitaria sia garantita attraverso la collaborazione reciproca delle due Amministrazioni, DAP e SSN., al fne di prevedere, per le malattie infettive relative all’ambiente lavorativo, periodiche forme di profilassi, nonché, così come avviene in alcuni Istituti di pena, procedure di profIlassi tipizzate per tutti i detenuti Nuovi Giunti.
Siamo, pertanto, a chiederLe di voler mettere in atto tutto quanto necessario affinché siano avviate, con urgenza, le operazione di screening sulla salute di tutti gli operatori penitenziari e di tutti i detenuti presenti in Istituto, volte a scongiurare ogni eventuale contagio o contatto col batterio della TBC, anche nella sua forma latente.
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