Ill.me autorità, é copiosa la corrispondenza che le varie articolazioni periferiche di questa Organizzazione Sindacale stanno indirizzando a diversi interlocutori in merito alle gravi problematiche che da tempo stanno interessando una parte del penitenziario del capoluogo emiliano. Le vicende riguardano il reparto “primo piano giudiziario” della Casa Circondariale di Bologna che pare annoverare fra le proprie peculiarità la presenza di detenuti di “difficile” gestione, spesso protagonisti di disordini, autori di aggressioni nei confronti del personale di polizia penitenziaria o comunque riottosi alle regole della quotidianità penitenziaria. Trattasi di un reparto che, per scelte gestionali, risulta essere caratterizzato da una quasi esclusiva presenza di detenuti stranieri, appartenenti a svariate nazionalità. Una eterogeneità di culture che si autogestisce in maniera quasi del tutto naturale, con formazione spontanea di piccoli gruppi in cui i componenti si sentono più forti. Ed è proprio il reparto in argomento che è stato scenario, per altro, del recente caso di produzione artigianale di distillati alcoolici, con tutti i rischi connessi ad una siffatta condotta.
Senza voler entrare nel merito delle scelte proprie e di esclusiva competenza dell’Amministrazione di gestione, allocazione e distribuzione della popolazione detenuta, ciò che preme alla scrivente Segreteria Generale è una analisi di come le politiche gestionali impattano sul personale di Polizia Penitenziaria che in quel reparto è chiamato a prestare la propria opera.
Un personale che oggi si sente squalificato nel proprio ruolo in ragione dello strano assioma per il quale in caso di disordini o diverbi, ad essere allontanato dal reparto non è il detenuto ma il poliziotto. Condizione che crea un circolo vizioso di “provocazioni” ad opera degli stessi reclusi che – in tal modo – rafforzano la convinzione di poter riscrivere le regole della quotidianità penitenziaria. A ciò si aggiunga una riferita marginale incisività dello strumento disciplinare a carico dei detenuti per cui pare vengano comminate sanzioni piuttosto lievi a fronte di condotte infrattive rilevanti.
E’ evidente che un siffatto stato delle cose rischia di trasformare il reparto in questione in una bomba ad orologeria, per di più alimentando il sentimento di sconforto ed abbandono del personale bolognese.
Si ritiene dunque che sia necessaria ed imprescindibile una linea di indirizzo da parte di codeste autorità che vada nel verso di una rinnovata filosofia in forza della quale si provveda al trasferimento del detenuto presso altro istituto quale conseguenza di un comportamento non consono alle regole della quotidianità penitenziaria. È di lapalissiana evidenza l’effetto che discenderebbe da un tale indirizzo, capace da un lato di costituire un deterrente anche psicologico per i detenuti più facinorosi e, dall’altro, di attribuire la giusta incisività all’azione dell’Amministrazione che ha – fra gli altri – l’onere di garantire l’ordine all’interno della struttura; ordine interno evidentemente minato dall’attualità delle condotte.
Si sollecita dunque ad intervenire nel senso richiesto, dando il giusto rilievo all’allarme lanciato dalle diverse articolazioni di questa O.S.
Certi della rilevanza che vorrà attribuirsi alla presente corrispondenza, si resta in attesa di un solere cenno di riscontro.
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Casa Circondariale di Bologna – problematiche del reparto “primo piano giudiziario”.
Ill.me autorità, é copiosa la corrispondenza che le varie articolazioni periferiche di questa Organizzazione Sindacale stanno indirizzando a diversi interlocutori in merito alle gravi problematiche che da tempo stanno interessando una parte del penitenziario del capoluogo emiliano. Le vicende riguardano il reparto “primo piano giudiziario” della Casa Circondariale di Bologna che pare annoverare fra le proprie peculiarità la presenza di detenuti di “difficile” gestione, spesso protagonisti di disordini, autori di aggressioni nei confronti del personale di polizia penitenziaria o comunque riottosi alle regole della quotidianità penitenziaria. Trattasi di un reparto che, per scelte gestionali, risulta essere caratterizzato da una quasi esclusiva presenza di detenuti stranieri, appartenenti a svariate nazionalità. Una eterogeneità di culture che si autogestisce in maniera quasi del tutto naturale, con formazione spontanea di piccoli gruppi in cui i componenti si sentono più forti. Ed è proprio il reparto in argomento che è stato scenario, per altro, del recente caso di produzione artigianale di distillati alcoolici, con tutti i rischi connessi ad una siffatta condotta.
Senza voler entrare nel merito delle scelte proprie e di esclusiva competenza dell’Amministrazione di gestione, allocazione e distribuzione della popolazione detenuta, ciò che preme alla scrivente Segreteria Generale è una analisi di come le politiche gestionali impattano sul personale di Polizia Penitenziaria che in quel reparto è chiamato a prestare la propria opera.
Un personale che oggi si sente squalificato nel proprio ruolo in ragione dello strano assioma per il quale in caso di disordini o diverbi, ad essere allontanato dal reparto non è il detenuto ma il poliziotto. Condizione che crea un circolo vizioso di “provocazioni” ad opera degli stessi reclusi che – in tal modo – rafforzano la convinzione di poter riscrivere le regole della quotidianità penitenziaria. A ciò si aggiunga una riferita marginale incisività dello strumento disciplinare a carico dei detenuti per cui pare vengano comminate sanzioni piuttosto lievi a fronte di condotte infrattive rilevanti.
E’ evidente che un siffatto stato delle cose rischia di trasformare il reparto in questione in una bomba ad orologeria, per di più alimentando il sentimento di sconforto ed abbandono del personale bolognese.
Si ritiene dunque che sia necessaria ed imprescindibile una linea di indirizzo da parte di codeste autorità che vada nel verso di una rinnovata filosofia in forza della quale si provveda al trasferimento del detenuto presso altro istituto quale conseguenza di un comportamento non consono alle regole della quotidianità penitenziaria. È di lapalissiana evidenza l’effetto che discenderebbe da un tale indirizzo, capace da un lato di costituire un deterrente anche psicologico per i detenuti più facinorosi e, dall’altro, di attribuire la giusta incisività all’azione dell’Amministrazione che ha – fra gli altri – l’onere di garantire l’ordine all’interno della struttura; ordine interno evidentemente minato dall’attualità delle condotte.
Si sollecita dunque ad intervenire nel senso richiesto, dando il giusto rilievo all’allarme lanciato dalle diverse articolazioni di questa O.S.
Certi della rilevanza che vorrà attribuirsi alla presente corrispondenza, si resta in attesa di un solere cenno di riscontro.
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