Esimio Ministro, dopo la scomparsa dell’amato collega di “Opera” le parole di cordoglio potrebbero non bastare, risucchiate nell’evanescenza del ricordo che non esiste più, diventare un macabro rituale di circostanza. Come ho avuto modo di scriverLe nella giornata di ieri, in replica al Suo question time alla Camera dei Deputati, c’è una questione che continua a sfuggirLe: di fronte all’emergenza sanitaria in cui si trova il Paese, il tema della salute di chi lavora in carcere non può essere considerato una questione (solo) sindacale, perché è gia un problema sociale. Per la nostra professione è giunto il momento, ora, di invocare il fato? Noi non siamo uomini e donne senza volto né vogliamo essere annoverati tra la schiera degli eroi che diventa tale solo dopo la morte. Ieri è venuto a mancare un Servitore dello Stato, caduto nell’adempimento del dovere, per ragioni di servizio. Ha contratto il virus piantonando un detenuto in ospedale, forse in un contesto sanitario compromesso: non (solo) un eroe ma un uomo coraggioso, che non si è sottratto al compimento del proprio dovere ma, per il rispetto che gli dobbiamo per la orgogliosa coerenza, la sua morte deve essere utile alla collettività in cui Nazzareno è vissuto ed è stato amato. Senza il bisogno di scadere nella pedissequa imitazione della retorica da Lei, sig. Ministro, vorremmo una precisa dichiarazione di impegno, anche un video di pochi minuti, in cui da Capo politico del Corpo di Polizia penitenziaria rivolgendosi al Suo personale sappia rassicurare, infondere fiducia, trasmettere determinazione, far sentire vicinanza. Ci faccia comprendere la Sua azione a beneficio della collettività, del Suo “popolo” in divisa! Spesso, ci vuole più coraggio per sopravvivere che per morire.
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Casa Reclusione di Milano “Opera”: “In ricordo di Nazzareno”. “Quel che Bonafede vorrei che facesse…”
Esimio Ministro,
dopo la scomparsa dell’amato collega di “Opera” le parole di cordoglio potrebbero non bastare, risucchiate nell’evanescenza del ricordo che non esiste più, diventare un macabro rituale di circostanza.
Come ho avuto modo di scriverLe nella giornata di ieri, in replica al Suo question time alla Camera dei Deputati, c’è una questione che continua a sfuggirLe: di fronte all’emergenza sanitaria in cui si trova il Paese, il tema della salute di chi lavora in carcere non può essere considerato una questione (solo) sindacale, perché è gia un problema sociale. Per la nostra professione è giunto il momento, ora, di invocare il fato? Noi non siamo uomini e donne senza volto né vogliamo essere annoverati tra la schiera degli eroi che diventa tale solo dopo la morte. Ieri è venuto a mancare un Servitore dello Stato, caduto nell’adempimento del dovere, per ragioni di
servizio.
Ha contratto il virus piantonando un detenuto in ospedale, forse in un contesto sanitario compromesso: non (solo) un eroe ma un uomo coraggioso, che non si è sottratto al compimento del proprio dovere ma, per il rispetto che gli dobbiamo per la orgogliosa coerenza, la sua morte deve essere utile alla collettività in cui Nazzareno è vissuto ed è stato amato.
Senza il bisogno di scadere nella pedissequa imitazione della retorica da Lei, sig. Ministro, vorremmo una precisa dichiarazione di impegno, anche un video di pochi minuti, in cui da Capo politico del Corpo di Polizia penitenziaria rivolgendosi al Suo personale sappia rassicurare, infondere fiducia, trasmettere determinazione, far sentire vicinanza.
Ci faccia comprendere la Sua azione a beneficio della collettività, del Suo “popolo” in divisa!
Spesso, ci vuole più coraggio per sopravvivere che per morire.
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