Onorevole Ministro, Esimi interlocutori, non vorremmo che l’episodio di Campobasso diventi un nuovo Milano “Opera” o una Roma “Rebibbia Femminile”: con processi sommari che, sulla scorta di comprensibili onde emotive, conducano all’emissione di provvedimenti di sospensione capestro, capaci di distruggere in un solo istante la carriera di specchiate professionalità. Istanze emotive che non dovrebbero subire il sensazionalismo mass-mediatico, il clamore momentaneo, e che dovrebbero, invece, indurre ad una serie di riflessioni quando sono alla base di una umana reazione di un poliziotto penitenziario. Questo è quello che pare stia accadendo ancora una volta per la sventata evasione di un detenuto dall’Ospedale di Campobasso. Senza conoscere le esatte dinamiche dell’accaduto, sulla scorta di materiale decontestualizzato, si potrebbero assumere provvedimenti senza alcun momento di garanzia per il Personale. Era doverosa, lo è ancora, una sana attesa, magari disponendo il diverso impiego del personale nelle more di un procedimento che faccia piena luce sulla vicenda; se dessimo retta ai “rumors” la sospensione dal servizio, per quanto misura precauzionale, costituirebbe comunque un “giudizio” inaudita altera parte, una punizione, che in fase di accertamento potrebbe risultare non adeguata alla condotta. Quella che potrebbe oggi apparire come la perorazione di una causa del singolo da parte di questa Organizzazione Sindacale, è invece un monito alla cautela, all’abbandono di un sistema dall’apparente matrice inquisitoria ed un invito ad approcciare piuttosto a questa questione come l’occasione per riflettere ed intervenire sulla fragilità del sistema sanitario nel contesto penitenziario, perché quella traduzione – magari – poteva non essere effettuata. Tante volte il Si.N.A.P.Pe ha chiesto di riflettere su questo pericoloso “turismo sanitario”, di pensare ad un efficientamento delle prestazioni mediche diversamente all’interno delle mura penitenziarie e ancora una volta è la Polizia Penitenziaria a pagare le peggiori conseguenze generate da un sistema farraginoso ed inefficiente. L’invito è quello ad un approccio meno emotivo, meno giustizialista e più razionale dell’Amministrazione rispetto a questa vicenda, evitando che il personale si trasformi nel capro espiatorio della “rete” internauta solo per aver agito con l’umano pathos in occasione di un evento critico.
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LETTERA AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA – Sventata evasione dall’Ospedale “Cardarelli” di Campobasso
Onorevole Ministro, Esimi interlocutori,
non vorremmo che l’episodio di Campobasso diventi un nuovo Milano “Opera” o una Roma “Rebibbia Femminile”: con processi sommari che, sulla scorta di comprensibili onde emotive, conducano all’emissione di provvedimenti di sospensione capestro, capaci di distruggere in un solo istante la carriera di specchiate professionalità. Istanze emotive che non dovrebbero subire il sensazionalismo mass-mediatico, il clamore
momentaneo, e che dovrebbero, invece, indurre ad una serie di riflessioni quando sono alla base di una umana reazione di un poliziotto penitenziario. Questo è quello che pare stia accadendo ancora una volta per la sventata evasione di un detenuto dall’Ospedale di Campobasso.
Senza conoscere le esatte dinamiche dell’accaduto, sulla scorta di materiale decontestualizzato, si potrebbero assumere provvedimenti senza alcun momento di garanzia per il Personale.
Era doverosa, lo è ancora, una sana attesa, magari disponendo il diverso impiego del personale nelle more di un procedimento che faccia piena luce sulla vicenda; se dessimo retta ai “rumors” la sospensione dal servizio, per quanto misura precauzionale, costituirebbe comunque un “giudizio” inaudita altera parte, una punizione, che in fase di accertamento potrebbe risultare non adeguata alla condotta. Quella che potrebbe oggi apparire come la perorazione di una causa del singolo da parte di questa Organizzazione Sindacale, è invece un monito alla cautela, all’abbandono di un sistema dall’apparente matrice inquisitoria ed un invito ad approcciare piuttosto a questa questione come l’occasione per riflettere ed intervenire sulla fragilità del sistema sanitario nel contesto penitenziario, perché quella traduzione – magari – poteva non essere effettuata.
Tante volte il Si.N.A.P.Pe ha chiesto di riflettere su questo pericoloso “turismo sanitario”, di pensare ad un efficientamento delle prestazioni mediche diversamente all’interno delle mura penitenziarie e ancora una volta è la Polizia Penitenziaria a pagare le peggiori conseguenze generate da un sistema farraginoso ed inefficiente.
L’invito è quello ad un approccio meno emotivo, meno giustizialista e più razionale dell’Amministrazione rispetto a questa vicenda, evitando che il personale si trasformi nel capro espiatorio della “rete” internauta solo per aver agito con l’umano pathos in occasione di un evento critico.
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