Egr. Direttore, giungono diverse lamentele circa un anomalo modus operandi, attuato presso la Direzione in parola, a discapito dei poliziotti ivi in servizio fruitori del beneficio ex Legge 104/92. Pare infatti che agli stessi, in seguito allo scollamento fra le date dei permessi indicate nel piano di assistenza e quelle effettivamente fruite (previa comunicazione), vengano chieste giustificazioni in merito, seguite solitamente dall’elevazione di un rapporto disciplinare per motivi non meglio identificati. Ora va specificato che la necessità di modifica delle giornate di permesso, chiaramente si genera per l’insorgere di eventi imprevedibili che rendono necessario il supporto al disabile assistito e che non sempre possono essere partecipati nel dettaglio per ragioni di privacy del disabile stesso. Sul punto tuttavia v’è da chiarire che con la modifica alle modalità di fruizione dei permessi (che non è intervenuta tramite legge, ma attraverso lettere circolari che, in ragione del principio di gerarchia delle fonti, certamente non hanno modificato la legge), si è inteso conciliare due interessi in gioco: la funzionalità della macchina amministrativa ed il superiore diritto alla salute, nella sua intrinseca accezione di tutela della disabilità. È evidente, dunque, che l’onere introdotto, lungi dal tradursi in un obbligo documentale, vuole cristallizzare quella necessaria collaborazione nell’organizzazione del lavoro, propria della comune diligenza. Il permesso ex art.33 legge 104/92 ha ben altre finalità, per cui, in caso di sopravvenienza di eventi che portino all’esigenza di variare il piano di assistenza, nessuna dimostrazione può essere chiesta al fruitore, se non la correttezza nella tempestiva comunicazione. Si fa fatica a leggere nella norma un potere di ratifica in capo al datore di lavoro, così come non gli è riconosciuto il potere di accoglimento o meno della richiesta di permesso, dovendosi lo stesso limitare ad accertare la sussistenza dei requisiti imposti dalla legge. Come è ben noto infatti, la circolare dipartimentale GDAP 0365765 del 9/09/2010, al paragrafo 7.2 cita un “programma di assistenza” al disabile, da parte del lavoratore beneficiario dei permessi de quo, da presentare presso la Direzione di appartenenza, al fine di rendere la programmazione del servizio razionale ed avere una migliore organizzazione del lavoro. Si parla di ciò come dell’opportunità, nell’interesse pubblico, di avere una cognizione preventiva del piano generale di richieste, in una sorta di collaborazione tra il dipendente e l’Amministrazione, mirata al buon andamento dell’attività lavorativa. Il 4 novembre 2010 la legge n.183 ridefinisce in parte il comma 3 dell’art.33 della Legge in oggetto e viene ripresa dall’INPS che, con circolare n.45 del 1/03/2011, al paragrafo 2.1 dispone “il dipendente è tenuto a comunicare al Direttore della struttura di appartenenza, all’inizio di ciascun mese (…), per quanto possibile, la relativa programmazione”. Le norme citate descrivono implicitamente la difficoltà effettiva di aderire completamente ad una pianificazione mensile di assistenza, stante il fatto che il sostegno reso al familiare disabile è morale e materiale e non può essere delimitato a specifiche esigenze; proprio per questo, al fine di non invadere gli spazi e le necessità degli assistiti, i giorni di permesso sono raramente programmabili a lungo termine. Ora, seppure l’Amministrazione Penitenziaria allineatasi alle nuove disposizioni, nella circolare successiva, la GDAP 0127143 del 29/03/2011, al punto 3.1.7 riscontri alcuni quesiti relativi al “programma di assistenza” e ne determini il carattere di obbligatorietà, fermo restando la possibilità di discostarsene “salvo dimostrate situazioni di urgenza”, rimane realmente difficile aderire attendibilmente a tale disposizione. L’art.33, comma 3 della Legge n. 104/92 sancisce che “(…) colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità, parente o affine entro il terzo grado, convivente, ha diritto a tre giorni di permesso mensile coperti da contribuzione figurativa, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno.” Dalla semplice lettura della suddetta norma si desume che il diritto riconosciuto al lavoratore (per il quale sia stata accertata la presenza dei suddetti requisiti), non è per nulla condizionato alla produzione di alcuna ulteriore giustificazione e/o certificato. L’agevolazione suddetta è infatti stata introdotta per dar modo al lavoratore, oltre di provvedere ad esigenze specifiche della persona da assistere (accompagnamento a visite mediche, controlli sanitari ma anche accompagnamento dal barbiere piuttosto che al supermercato, ecc. ), anche solo di recuperare, quando ne avverta la necessità, le energie psico-fisiche perse in misura maggiore rispetto ai suoi colleghi di lavoro. Quindi è sottinteso che, ogniqualvolta si chieda di usufruire dei permessi ex art.33 Legge n. 104/92, anche “discostandosi” dall’eventuale programma di assistenza presentato al datore di lavoro, non si dovrebbe essere tenuti a provare, ancora una volta, l’eventuale esigenza del proprio assistito né, tanto meno, a sperare di essere creduti. Pertanto, tornando alla Circolare dipartimentale, laddove si cita “salvo dimostrate situazioni di urgenza” e ribadendo la specificità dell’assistenza prestata (dove quindi l’urgenza può essere rappresentata da un bisogno improvviso del disabile, anche se “apparentemente superfluo” agli occhi esterni), potrà intendersi valida, quale documentazione giustificativa, un’autocertificazione sottoscritta appunto dall’assistito? E’ evidente come tale disposizione crei malumore tra i dipendenti interessati, vincolati nella realizzazione di un diritto di cui, avendone la possibilità di scelta, non vorrebbero beneficiare. Pertanto, alla luce di quanto rappresentato, si chiedono urgenti delucidazioni in merito ai dubbi sollevati.
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CASA CIRCONDARIALE DI ROMA REGINA COELI – Permessi art.33, comma 3 Legge 104/92. Anomala applicazione della norma – Richiesta urgenti delucidazioni
Egr. Direttore, giungono diverse lamentele circa un anomalo modus operandi, attuato presso la Direzione in parola, a discapito dei poliziotti ivi in servizio fruitori del beneficio ex Legge 104/92. Pare infatti che agli stessi, in seguito allo scollamento fra le date dei permessi indicate nel piano di assistenza e quelle effettivamente fruite (previa comunicazione), vengano chieste giustificazioni in merito, seguite solitamente dall’elevazione di un rapporto disciplinare per motivi non meglio identificati. Ora va specificato che la necessità di modifica delle giornate di permesso, chiaramente si genera per l’insorgere di eventi imprevedibili che rendono necessario il supporto al disabile assistito e che non sempre possono essere partecipati nel dettaglio per ragioni di privacy del disabile stesso. Sul punto tuttavia v’è da chiarire che con la modifica alle modalità di fruizione dei permessi (che non è intervenuta tramite legge, ma attraverso lettere circolari che, in ragione del principio di gerarchia delle fonti, certamente non hanno modificato la legge), si è inteso conciliare due interessi in gioco: la funzionalità della macchina amministrativa ed il superiore diritto alla salute, nella sua intrinseca accezione di tutela della disabilità. È evidente, dunque, che l’onere introdotto, lungi dal tradursi in un obbligo documentale, vuole cristallizzare quella necessaria collaborazione nell’organizzazione del lavoro, propria della comune diligenza. Il permesso ex art.33 legge 104/92 ha ben altre finalità, per cui, in caso di sopravvenienza di eventi che portino all’esigenza di variare il piano di assistenza, nessuna dimostrazione può essere chiesta al fruitore, se non la correttezza nella tempestiva comunicazione. Si fa fatica a leggere nella norma un potere di ratifica in capo al datore di lavoro, così come non gli è riconosciuto il potere di accoglimento o meno della richiesta di permesso, dovendosi lo stesso limitare ad accertare la sussistenza dei requisiti imposti dalla legge. Come è ben noto infatti, la circolare dipartimentale GDAP 0365765 del 9/09/2010, al paragrafo 7.2 cita un “programma di assistenza” al disabile, da parte del lavoratore beneficiario dei permessi de quo, da presentare presso la Direzione di appartenenza, al fine di rendere la programmazione del servizio razionale ed avere una migliore organizzazione del lavoro. Si parla di ciò come dell’opportunità, nell’interesse pubblico, di avere una cognizione preventiva del piano generale di richieste, in una sorta di collaborazione tra il dipendente e l’Amministrazione, mirata al buon andamento dell’attività lavorativa. Il 4 novembre 2010 la legge n.183 ridefinisce in parte il comma 3 dell’art.33 della Legge in oggetto e viene ripresa dall’INPS che, con circolare n.45 del 1/03/2011, al paragrafo 2.1 dispone “il dipendente è tenuto a comunicare al Direttore della struttura di appartenenza, all’inizio di ciascun mese (…), per quanto possibile, la relativa programmazione”. Le norme citate descrivono implicitamente la difficoltà effettiva di aderire completamente ad una pianificazione mensile di assistenza, stante il fatto che il sostegno reso al familiare disabile è morale e materiale e non può essere delimitato a specifiche esigenze; proprio per questo, al fine di non invadere gli spazi e le necessità degli assistiti, i giorni di permesso sono raramente programmabili a lungo termine. Ora, seppure l’Amministrazione Penitenziaria allineatasi alle nuove disposizioni, nella circolare successiva, la GDAP 0127143 del 29/03/2011, al punto 3.1.7 riscontri alcuni quesiti relativi al “programma di assistenza” e ne determini il carattere di obbligatorietà, fermo restando la possibilità di discostarsene “salvo dimostrate situazioni di urgenza”, rimane realmente difficile aderire attendibilmente a tale disposizione. L’art.33, comma 3 della Legge n. 104/92 sancisce che “(…) colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità, parente o affine entro il terzo grado, convivente, ha diritto a tre giorni di permesso mensile coperti da contribuzione figurativa, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno.” Dalla semplice lettura della suddetta norma si desume che il diritto riconosciuto al lavoratore (per il quale sia stata accertata la presenza dei suddetti requisiti), non è per nulla condizionato alla produzione di alcuna ulteriore giustificazione e/o certificato. L’agevolazione suddetta è infatti stata introdotta per dar modo al lavoratore, oltre di provvedere ad esigenze specifiche della persona da assistere (accompagnamento a visite mediche, controlli sanitari ma anche accompagnamento dal barbiere piuttosto che al supermercato, ecc. ), anche solo di recuperare, quando ne avverta la necessità, le energie psico-fisiche perse in misura maggiore rispetto ai suoi colleghi di lavoro. Quindi è sottinteso che, ogniqualvolta si chieda di usufruire dei permessi ex art.33 Legge n. 104/92, anche “discostandosi” dall’eventuale programma di assistenza presentato al datore di lavoro, non si dovrebbe essere tenuti a provare, ancora una volta, l’eventuale esigenza del proprio assistito né, tanto meno, a sperare di essere creduti. Pertanto, tornando alla Circolare dipartimentale, laddove si cita “salvo dimostrate situazioni di urgenza” e ribadendo la specificità dell’assistenza prestata (dove quindi l’urgenza può essere rappresentata da un bisogno improvviso del disabile, anche se “apparentemente superfluo” agli occhi esterni), potrà intendersi valida, quale documentazione giustificativa, un’autocertificazione sottoscritta appunto dall’assistito? E’ evidente come tale disposizione crei malumore tra i dipendenti interessati, vincolati nella realizzazione di un diritto di cui, avendone la possibilità di scelta, non vorrebbero beneficiare. Pertanto, alla luce di quanto rappresentato, si chiedono urgenti delucidazioni in merito ai dubbi sollevati.
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